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23 ottobre 2015 | In the Red |
Il progetto “Fuzz” – uno dei numerosi side project sviluppati dall’inesauribile Ty Segall – nasce dall’amore incondizionato del nostro – che qui siede alle pelli – e dei suoi compagni – Charlie Moothart alla chitarra e Chad Ubovich al basso – per i Black Sabbath e per il proto heavy.
La seconda prova – il primo omonimo disco è uscito nel 2013 – convince e risulta ancora più a fuoco del suo predecessore. Certo, sia ben chiaro che se cercate qui “l’innovazione” avete sbagliato direzione. “II” è un omaggio appassionato, teso unicamente alla riproposizione di un certo tipo di sonorità senza la preoccupazione di renderle attuali.
Dal primo all’ultimo pezzo l’impressione è di ascoltare un’abile destrutturazione del passato – ricordate Volume IV dei Sabbath? – nella quale invertendo l’ordine degli addendi la somma cambi improvvisamente. Le canzoni svettano imponenti come appena uscite dai seventies, segnando nel riffing e negli implacabili cambi di ritmo il loro punto focale. I primi due pezzi “Time Collapse” e “Rat Race” sembrano un unico movimento granitico scandito dai vocalizzi di Segall. E’ però “Let it live” il primo capolavoro. Immaginate un basso pesante disegnare una stupenda parabola finemente cesellata dalla chitarra di Moothart, e sarete molto vicini allo stile di Hendrix. Il tutto accompagnato da un cantato “sixties” dal refrain quasi “beatlesiano”.
“Pollinate”, “Bringer of light” e “Pipe” sono la frammentazione di “Snowblind” dei Sabbath: stesso impatto fisico, stesso cantato annoiato à la “Ozzy”, stessa rabbia. Inoltre, durante “Pipe” emergono evidenti riferimenti al desert sound dei Kyuss. L’influenza di questi ultimi si ritrova anche nella successiva “Say Hello” – ricordate “Gardenia”? – e in “Jack The Maggoth”. Poi c’è quel colpo di reni che risponde al nome di “Red Flag”– se avete amato i Black Flag non potete non conoscere il loro capolavoro “Damaged“.
In conclusione “II” è un bel disco, ispirato e suonato con passione, dove la mancanza dell’aspetto innovativo è supplita dall’elevato livello delle composizioni. Questo, grazie anche al talento chitarristico di un Moothart ormai maestro nel tenere sempre alta la tensione, coinvolgendo l’ascoltatore dal primo all’ultimo secondo.