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23 ottobre 2015 | Columbia | davegahan.com |
Calda, avvolgente, liturgica. La voce che guida i Depeche Mode torna a collaborare con Rich Machin (Soulsavers) e Ian Glover attraverso un disco che tanto richiama quelle tematiche di redenzione, salvezza e devozione sentimentale, che il buon Dave da anni trascina nella sua affascinante ed oscura ombra. La necessità di intraprendere percorsi paralleli, palesata durante un accennato diverbio con Martin Gore a ridosso dell’uscita di Playing the Angel (Depeche Mode, 2005), ha condotto Gahan non solo a progetti solisti (Paper Monsters e Hourglass, rispettivamente 2003 e 2007) ma ha trovato una complice guida blues, con sfumature di rock e soul, nei Soulsavers. Angels & Ghosts al primo ascolto chiarisce immediatamente il proprio spessore. Trattasi infatti di un prodotto più completo e curato rispetto alla precedente cooperazione musicale – “The Light the Dead See” (2012) –, la quale, nonostante abbia posto le basi di questo lavoro, risultò forse incompleta: incapace di delineare un obiettivo comune.
All’interno del nuovo lavoro, troviamo un progressivo aumento dell’intensità emotiva insita nei testi, ed un inserimento calibrato del gospel; anche se, più volte il coinvolgimento delle tracce è direttamente riconducibile alla carismatica e profonda voce del frontman inglese. Basta ascoltare il primo singolo “All of this and nothing” per comprendere l’intero leitmotiv dell’album: voce sugli scudi – a volte fin troppo – e chitarre che richiamano, seppur blandamente, i Depeche degli anni ’90. “Shine” è questo: chitarra lenta ma pesante, e cori che fanno da eco alla voce di Gahan. Come successe già in Songs Of Faith And Devotion, le tematiche affrontate nei suoi dialoghi – You owe me, Tempted e Don’t Cry – rappresentano delle vere e proprie preghiere, gran parte delle quali riporta alle ballad di Martin Gore. My Sun – traccia di chiusura – rappresenta in pieno uno di quei momenti solenni in cui durante i live si calano i riflettori su un’unica voce: quella che riesce a tenere in silenzio e ad emozionare i presenti sino all’ultima nota.
Per quanto trainante affascinante e solenne, la corretta collocazione della voce di Gahan è in un solo ed unico contesto; l’unico in cui davvero riesce ad esaltarsi e a dare timbro e credibilità alle tematiche che riesce a toccare e in cui riesce a trovare la completezza melodica che solo Martin Gore e Andy Flatcher riescono a fornire. Non me ne voglia il buon Machin, ma i Depeche Mode sono un’altra cosa. Dave Gahan lo sa perfettamente, eppure la sua voglia di manifestare la propria indipendenza artistica lo spinge spesso verso un’unica direzione: quella nostalgica.