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22 gennaio 2016 | Highway 20 Record | lucindawilliams.com | ![]() |
Stiamo parlando di una di quelle artiste senza tempo. Lucinda Williams è una storyteller di classe, apparentemente ruvida, ma invece dotata di una dolcezza malinconica che in quest’album sembra avere trovato tutto il suo naturale sviluppo. Gli eventi della vita lasciano nella Williams una forte traccia che si trasforma in poetica ogni qual volta imbraccia la sua chitarra. Così è avvenuto per l’album precedente, così tanto segnato dall’incontro con JJ Cale.
In questo caso, a distanza di neanche due anni ci troviamo di fronte a qualcosa di profondamente diverso. Tutto origina dalla morte del padre di Lucinda, Miller Williams che nella nuova letteratura Americana ha costituito indubbiamente uno scrittore di punta. E così dal pezzo di apertura Dust, a Bitter Memory, fino alla bellissima e sinuosa Place in My Heart è proprio quel senso di malinconico, ma non rassegnato, che pervade l’ascoltatore. La voce della Williams è cullata e accompagnata dalla morbida chitarra di Bill Frisell che trasforma la melodia primitiva del pezzo in qualcosa di musicalmente evoluto rispetto al rock classico, di pregio, cui le precedenti registrazioni della cantautrice statunitense erano diretti.
Di solito da una grande sofferenza ritorna una rinascita, specie dal punto di vista creativo. E’ esattamente questo il punto della carriera della Williams, il cui album lascia emergere la volontà di tornare a rischiare, per scoprire magari di voler mettersi in gioco ancora. E il risultato è ipnotico e profondo come il suo animo.