Motorpsycho @ Init (Roma) – 10 maggio 2016

Attitudine e visual
In un post di qualche giorno fa su Instagram, Bent Sæther entusiasta della sua discesa a Roma, scriveva:

“Tonights gig was performed under a Roman aquaduct possibly dating back to the third century for a packed house of enthusiastic folks, many of which have been w us since the 90’s judging by the resounding sing alongs on our older tunes. Nice to see so many old faces tonight, hope you all enjoyed the show”.

In sintesi un omaggio alla location del concerto situata all’interno di un acquedotto romano, oltre ad un ringraziamento particolare ai fan della capitale, che da sempre hanno supportato la band norvegese con dei “sold out” sistematici.

Nella precedente data Milanese la band ha messo a ferro e fuoco il “Magnolia”, con una scaletta da brividi. E così infatti è stato anche a Roma. Memori peraltro di un precedente concerto di qualche anno fa, sempre all’Init, dove la band ripropose come bis tutto “Blissard”, chiudendo il concerto in più di tre ore, eravamo preparati fisicamente e mentalmente ad una possibile serata indimenticabile, come poi è stato.

La musica dei Motorpsycho è qualcosa di “totalizzante”, un frullatore galattico dove al suo interno puoi trovare di tutto: dalla Psichedelia dei Sixties di Love e Grateful Dead fino al Prog e all’Hard Rock, passando per l’Heavy Metal dei Seventies (King Krimson, Led Zeppelin, Black Sabbath) e il Black Metal degli Eighties (non erano norvegesi i Darktrone e i Mayhem?) come anche l’Indie/Grunge dei 90 di Nirvana e Dinosaur Jr.  Tutto frullato con originalità e perizia tecnica senza confronti.

Alle 21.30 in punto la band (“Bent Sæther” – basso voce, “Kenneth Kapstad”, alle pelli dal 2007, “Hans Magnus Ryan”, in arte “Snah” alla voce e chitarra) sale sul palco. Per gli amanti della statistica il 40% della serata è stata dedicata all’ultimo bellissimo disco “Here Be Monsters” qui riproposto integralmente (con inclusione della traccia “Here Be Monsters” che peraltro non compare nell’omonimo disco ma uscita successivamente su singolo) e per il 60% pescando un po’ su tutta la sterminata produzione del gruppo: inclusa quella iniziale, con pezzi del calibro di “Junior” e “Feedtime” (entrambe tratte dal bellissimo Demon Box), “Watersound”, “Wearing Yr Smell” e “Fell” (Timothy’s Monster); “S.T.G.”, “Flick of the Wrist” (Blissard).

Audio
L’Init è composto da due sezioni, la prima a ridosso del palco e la seconda limitrofa al bar. La differenza se stare nell’una o nell’altra non è di poco conto, visto che a ridosso del palco l’acustica è buona (tenuto conto del pessimo standard più volte da me evidenziato dei locali romani), mentre nella seconda sezione il suono è molto più basso e molto impastato, però sufficientemente godibile.

I Motorpshycho vantano uno dei migliori “Live set” dell’attuale scena Rock mondiale, l’unica cosa che si può loro addebitare (ma non incide minimamente sulla qualità generale della loro proposta musicale) è una certa “prolissità”, ovvero l’attitudine ad allungare l’esecuzione dei pezzi (già peraltro mediamente oltre i 5 minuti su disco). Attitudine molto vicina a quanto proposto, ad esempio, da gruppi come i sopracitati Grateful Dead nei 60/70. A riprova di ciò, infatti, l’iniziale trittico tratto da Here Be Monsters (“Big Black Dog”, “Sleepwalking” e “Lacuna / Sunrise”) ha totalizzato una durata che ha superato ampiamente la mezz’ora.

La successiva incredibile “Flick of the Wrist” ( periodo Blissard) con spettacolare assolo centrale di uno “Snah” in forma smagliante, ci ha fatto intuire come, le canzoni del periodo “90” svettino in maniera notevole rispetto alle altre. Ma stiamo ragionando, in ogni caso, su altissimi livelli. La medesima sensazione si è ripresentata, con l’attacco di “STG” (un tuffo al cuore) dal bellissimo e forse sottovalutato dalla critica “Blissard” dove l’iniziale arpeggio di chitarra, accompagnato dal ticchettare delle bacchette di “Kenneth” (qui molto vicino a certe sonorità dei Police periodo “Synchronicity”) esplode insieme al basso Mammut di Bent, un capolavoro magistrale.

E che dire della parte finale del concerto, tutta rivolta alla loro produzione iniziale. In sequenza: “Wearing yr Smell”, da Timothy’s Monster – uno dei più bei pezzi dei nostri, qui riproposta quasi “Unplugged” –, “Watersound” sempre da Timothy, spettacolare con quell’intro folk “Zeppeliniano” che esplode in un apoteosi di distorsioni, “Junior” addirittura dritta dal terzo Demon Box – dove a un certo punto ci è sembrato di scorgere J Mascis sul palco, tanto l’assolo à la Dinosaur Jr era ben eseguito.

Infine, dopo circa 3 ore di musica arriva “Feedtime”, sempre da Demon Box: un trattore con sopra un mammut che lo guida sparato a 300 all’ora.

Set list

• Big Black Dog (Here be Monsters)
• Sleepwalking (Here be Monsters)
• Lacuna/Sunrise (Here be Monsters)
• Flick of the Wrist (Starmelt ep, Blissard Deluxe ed.)
• Feel (Timothy’s Monster)
• Hell, Part 1-3 (Still Life With Eggplant)
• Running With Scissors (Here be Monsters)
• I.M.S. (Here be Monsters)
• Spin, Spin, Spin (Here be Monsters (Terry Callier cover)
• Sleepwalking Again (Here be Monsters)
• August (Still Life With Eggplant (Love cover)
• S.T.G. (Blissard)
• The Bomb-Proof Roll and Beyond (for Arnie Hassle) Heavy Metal Fruit
• Wearing yr Smell (Timothy’s Monster)
• Watersound (Timothy’s Monster)
• Junior (Demon Box)
• Feedtime (Demon Box)

Encore:
• Here Be Monsters (Here be Monsters)

Pubblico
Init stracolmo fino all’inverosimile, pubblico in prevalenza sui 30/40 anni, fan del gruppo che intonavano i pezzi a memoria (vedi “Feel” cantata a squarciagola con Bent che ha lasciato cantare il pubblico”).

Conclusioni
I nostri ci salutano e ci lasciano appagati, con la certezza di avere assistito ad uno dei concerti dell’anno, e di aver goduto della migliore musica “totalizzante” oggi proposta. Per noi una certezza.

Foto: Simone Giuliani
Articolo: Gianluca Maccari