Attitudine e visual:
È un viaggio lisergico che volge lo sguardo a un passato fatto di polvere e LSD, un flusso trascendente di note che apre un varco temporale su visioni ipnotiche lontane, quello presentato dai canadesi Black Mountain sul palco di Villa Ada. Ad aprire le danze ci sono i Soviet Soviet, trio italiano ma dal respiro internazionale formato da Alessandro Costantini alla chitarra, Alessandro Ferri alla batteria e Andrea Giometti alla voce e al basso. La band modella dal vivo interessanti impressioni gothic rock con neri echi post-punk e new wave. Grinta e follia, compattezza e spessore si muovono così tra i suoni, forse a tratti un po’ derivativi, e sul palco. È poi la volta dei Black Mountain e si dà subito ampio spazio a un rock puro fatto di riviviscenze e contemporaneità. Durante il live viene lasciato poco spazio alle interazioni col pubblico e, nella staticità delle movenze, è la potenza della musica a parlare. Il quintetto di Vancouver si muove su lande psych e distese kraut/cosmiche arroccate su rocce stoner e rupi heavy, restituendo saliscendi emozionali che alternano allucinazioni eteree e astrali a miraggi elettrificati ed energici di riff granitici. La voce pulita e cristallina della ninfa psichedelica Amber Webber sembra quasi evocare le anime di Grace Slick dei Jefferson Airplane e di Janis Joplin, ma con meno presenza scenica di queste ultime. I suoni risultano tecnicamente impeccabili, mentre vibrano nel sisma di fuzz e di synth, nel terremoto di distorsioni e riverberi, mentre l’alternarsi vocale tra la Webber e McBean restituisce variegati caleidoscopi ritmici.
Audio:
Buona resa audio, anche se a tratti con volumi troppo alti, in grado di abbracciare il pubblico e condurlo all’intero della traversata sonora proposta dai Black Mountain.
Setlist:
I Soviet Soviet propongono i brani del loro ultimo lavoro in studio, F A T E, come 1990, Together, Gone Fast e No Lesson, ma anche due pezzi inediti, Fairytale e Blend, che faranno parte del nuovo album. I Black Mountain partono invece con Mothers Of The Sun e con Florian Saucer Attack, dall’ultimo IV, per poi pescare anche da In The Future i pezzi Stormy High e Wucan. Scorrono poi Tyrants, You Can Dream, Line Them All Up, Cemetery Breeding e Rollercoaster – da Wilderness Heart. A chiudere il cerchio sonoro ci pensano i sogni cosmici di Space To Bakersfield.
Momento migliore:
Sicuramente gli episodi più carichi di elettricità ritmica, pregni di distorsioni ed esplosioni stoner.
Pubblico:
Un pubblico trasversale e di tutte le età che sembra decisamente apprezzare il focus e l’importanza che i Black Mountian vogliono dare esclusivamente alla musica scremata da interazioni superflue.
Conclusioni:
I Black Mountain sul palco forse peccano un po’ di presenza scenica, ma sicuramente questo aspetto viene ben controbilanciato dalla perfetta resa sonora e dalla tecnica sapiente. Live, come su disco, i Black Mountain sono anime Seventies che si affacciano al presente, riscoprendo il senso estatico della musica sotto un cielo illuminato da un’eclissi di suoni.
Testo di Ida Stamile
Foto di Sofia Bucci