Acquista: | Data di Uscita: | Etichetta: | Sito: | Voto: (da 1 a 5) |
21 Ottobre 2016 | Exotic Location | jimmyeatworld.com | ![]() |
La stampa ha da sempre manifestato pareri discordanti nei confronti dei Jimmy Eat World. C’è da dire però che la band capitanata da Jim Adkins non si è mai data per vinta, rimodellando l’Emo Rock degli esordi in favore di una matrice segnatamente Indie. Con Integrity Blues (21 ottobre 2016, RCA) i Jimmy Eat World ampliano ancora il proprio raggio d’azione, attingendo da formazioni come: Band of Horses, Death Cab For Cutie e Bloc Party – correndo il rischio, forse calcolato, di dissolversi all’interno di un calderone già al quanto popolato. Dalla loro c’è la consueta ottima scrittura (dai toni melensi), capace di offrire spunti interessanti; specialità di cui ormai sono maestri.
L’album manifesta fin da subito buona parte delle proprie caratteristiche (Indie), rivelandosi abbastanza originale per giocarsi le proprie carte all’interno del genere. Il problema, se possiamo definirlo tale, è forse rappresentato dal lento ed inesorabile distacco da parte dell’utenza di riferimento: processo innescatosi già da Chase This Light (2007). Ovvero dall’inserimento graduale di quegli elementi di rottura con il classico incedere emozionale: una scelta precisa e conscia del fatto che gli aficionados della prima ora nel frattempo si sono fatti uomini, l’Emo è passato di moda e la stessa band ha superato i quaranta.
Però, al netto delle speculazioni di cui spora, “Integrity Blues” si presenta come uno degli album migliori della band. C’è l’emotività (“You are Free”), una voce decisa (“Trough”) e la classica chitarra distorta che fa da accompagnamento a tutti gli altri strumenti. La tensione tra strofa e ritornello di “Pretty Grids” entra nello stomaco dell’ascoltatore, come del resto gli anthems da stadio di: “You with Me”, “Sure and Certain”,e “The End is Beautiful”. Proprio “Sure and Certain” potrebbe essere considerato come il manifesto del nuovo sound: chitarra crunch, basso in primo piano, ritornelli corali e un bridge iniziale importante che spezza il ritmo del brano conferendogli un impatto emotivo notevole. L’eccezione che conferma la regola è rappresentata da “Pass the Baby”, un brano downtempo pulito, grazie ai riff eterei di chitarra; in controtendenza con il resto delle composizioni.
Naturale andarci coi piedi di piombo, soprattutto alla luce degli ultimi lavori. È d’obbligo però smarcarsi dai preconcetti, ascoltando l’album come fosse un nuovo esordio della formazione statunitense. Magari così facendo riuscirete ad apprezzare a pieno Integrity Blues: nella speranza che questa nuova estetica possa fungere da volano per la rivalutazione di una band che è stata da modello per molte altre.




