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3 Giugno 2016 | Kobalt | catseyes.tv | ![]() |
Tornano i Cat’s Eyes rinfrancati dal concerto al Vaticano e dall’esperienza ai RealWorld Studios di Peter Gabriel – insieme al produttore Steve Osborne.
Faris Badwan, metà dei Cat’s Eyes, ha deciso di riversare nel duo le sperimentazioni fatte con i The Horrors – che già con l’ultimo album, Luminous (2014) dimostrarono di aver raggiunto un giusto equilibrio tra Indie, Elettronica e sorprendente capacità d’adattamento. L’altra metà della band, Rachel Zeffira, è la parte che completa il tutto, che di per sé sarebbe scontato, solo che unicamente lei può completare questa metà: vuoi per affinità sentimentali con Faris, vuoi per le indubbie qualità come soprano, – che mostra tra lirica e modernismo attraverso vocalizzi e cori.
Tutta questa qualità, questa urgenza di sperimentazione ha portato a due scenari differenti tra loro: se da una parte gli intrecci vocali, l’uso degli archi e i brani più ritmati mostrano una band matura, forte nelle sue convinzioni e capace di regalare alti standard qualitativi, dall’altra si rischia che alcuni brani risultino avulsi dal contesto – “Treasure House” sembra composto per un film della Disney, mentre “Standoff” per un film drammatico –, rendendo la fluidità dell’album alquanto dubbia.
L’ascoltatore si perde dunque all’interno di brani eterei, come “Everything Moves Towards the Sun”, per poi destarsi come se al sogno seguisse una caduta nel vuoto; del resto, la pace non dura per sempre. Per molti artisti l’abitudine è quella di inserire una ballad o due all’interno di un album Rock in modo da spezzare l’andamento delle canzoni, per altri a variare è l’intensità dei brani che si rifanno però ad una struttura simile, per altri ancora non c’è proprio cambiamento; qui i toni sono sempre intimi, intensi, come accade ad esempio in “The Missing Hour” – aiutati da archi e effetti, ma interrotti da “Be Careful Where You Park Your Car” e “Standoff”: due brani dalle atmosfere completamente differenti.
Le due voci, di Faris e di Rachel, trovano una notevole complicità se coadiuvate da violini e chitarre: “The Missing Hour” rappresenta infatti un buon esempio su come colmare le distanze fra generi, tra la musica cosiddetta classica e uno stile più elettronico, indie, creando scenari inediti.
I Cat’s Eyes ci avevano già abituato a queste sonorità, ma con Treasure House hanno compiuto un notevole salto di qualità e hanno dimostrato una maturità che mancava nell’omonimo album d’esordio. Tra echi disneyani, voci liriche, tastiere ipnotiche (“Names on the Mountains”) e cenni di chitarra, il duo ibrido ci trasporta in un film astratto, surreale, onirico.




