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07 Aprile 2017 | warp | throttleclark.com |
Raramente nel mondo dell’elettronica si trovano artisti in grado di mettere ordine nel caos, Clark è uno di questi. Dopo i temi esoterici e fumosi trattati nella recente colonna sonora “The Last Panther” (2016), Clark riaccende le ferrose macchine industriali e prende in mano il suo inconfondibile approccio cyborg alla musica. Giunto al suo nono album su Warp Records, l’eclettico compositore di algoritmi digitali, ha appena licenziato un concentrato di post-umanità dall’enigmatico filo logico.
In “Death Peak” il producer Inglese mette sul pentagramma lo Yin e Yang trovando un fulcro sonoro tra temi e ritmi contraddittori. Ogni singola traccia è priva di linearità, non c’è fusione ne contrapposizione, tutto prende vita in un limbo sonoro tinto di diverse texture. Ciononostante una suadente armonia tra gli opposti contestualizza l’intera struttura dell’album. Per la prima volta Clark accosta alla fitta rete di synth, delle voci umane: celestiali, integre o destrutturate, ma pur sempre tanto grate all’immaginario lirico di Benjamin Britten.
Un’introduzione dal maniacale animo Techno, e sul singolo “Peak Magnetic” si avverte il primo delirante dialogo tra macchina e uomo. “Hoova” dichiara aperto il rituale percussivo, si attornia di ronzii in accelerazione e si dissolve in uno spazio indefinito. L’ascolto prosegue con un arida aggressività, utilizzando l’energia del caos a proprio vantaggio, fino ad “Aftermath”, un brano che ha tutta l’aria di essere un epilogo.
“Catastrophe Anthem” ridà voce a “Death Peak”. È un brano tanto spettrale quanto rassicurante: un esplicito richiamo ai suoni sacri di “Artificial Intelligence” fa da tappeto ai cori celestiali di bambini, che ripetono incessantemente “we are your ancestors” (“siamo i tuoi antenati”).
Potrebbe bastare, Clark non deve dimostrare nulla a nessuno, ma da buon romanziere, concede altre due tracce e un outro di dieci minuti, pronta a fare da time-laps riassuntivo all’intera opera. Ancora una volta Clark non si cura di mantenere una coerenza stilistica, è qui per domare lo specchio dei suoi pensieri: un mondo fatto di suoni che si dimenano nervosi e instancabili, pur mantenendo un’estetica riconoscibile e consapevole.