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10 Marzo 2017 | Balley Records | idlesband.com |
“Brutalism” è un disco seminale, qualcosa che probabilmente verrà utilizzato come Benchmark per le band di genere.
Gli Idles sono: Joseph Talbot alla voce, Jon Beavis alla batteria, Adam Devonshire al basso, Mark Bowen e Lee Kiernan alle chitarre. Si sono formati a Bristol nel 2010 ed hanno all’attivo due Ep: “Welcome” (2012) e “Meat” (2015).
Brutalism è un disco emozionante, che ricorda per costruzione il cut up d’inizio millennio ad opera degli Strokes, qui adagiato sui dettami di formazioni più recenti e dai suoni ruvidi come Iceage e Holograms: 13 canzoni dirette al cuore dell’ascoltatore, 13 potenziali inni.
Il comparto testi è un vademecum del disagio giovanile Britannico “post Brexit”: disoccupazione, incapacità dell’attuale “establishment” politico nella risoluzione dei problemi, criminalità. Non aspettatevi canzoni d’amore dunque, ma una descrizione oggettiva della situazione in cui attualmente i giovani inglesi versano.
Gli Idles descrivono un quadro simile a quello dell’Inghilterra “Tatcheriana” dei tardi anni ’70, dove regnava una profonda crisi economica, terreno fertile per la creazione di movimenti giovanili di opposizione al governo – in musica, il Punk e tutto ciò che lo seguì.
Non a caso il punto di riferimento della band inglese è proprio la generazione del primo Punk britannico, quella più politicizzata: Clash, Sex Pistols, Stiff Little Fingers, con una spiccata predilezione per i Fall di Mark E Smith.
Non una mera riproposizione di tali schemi, ma bensì un marchio attitudinale che riemerge nel modo in cui i brani vengono vomitati à la maniera del vecchio J.Rotten. Qui tutto funziona. Prendiamo ad esempio un pezzo come “Mother” dalle spiccate ritmiche Post-Punk e dal testo eloquente:
My mother worked 15 hours 5 days a week
My mother worked 16 hours 6 days a week
My mother worked 17 hours 7 days a week
The best way to scare a Tory is to read and get rich
The best way to scare a Tory is to read and get rich
The best way to scare a Tory is to read and get rich
I know nothing
I’m just sitting here looking at pretty colours
I know nothing
I’m just sitting here looking at pretty colours
I know nothing
I’m just sitting here looking at pretty colours
Mother
Fucker
Nient’altro che crudo realismo, come la Punk culture impone.
“Date Night” si erge a culmine di un processo creativo che vede i Black Flag di Damaged incontrare i sopracitati Strokes: stessa determinazione, rabbia decuplicata. Ma sarà con “Divide And Conquer” che i nostri raggiungeranno il punto più alto del disco: Blues, sofferenza indicibile – molto vicina alle prime prove soliste di Henry Rollins –, roba pesante come un macigno. La chitarra ricorda quella di Daniel Ash dei Bauhaus, mentre Adam Devonshire martella suo basso come fosse l’ultima volta.
La chiusura del disco è però quella che non ti aspetti. Una “Slow Savage” per piano e batteria in catarsi: giusto per ricordarci di cosa siamo fatti.
“There’s no god in the city
Uncle Noel’s got cancer in his brain
Uncle Noel’s got cancer in his lungs and his brain
I thought it would tear that man apart
Luckily, uncle Noel’s got Jesus in his heart
I’m an Aquarius”
– da Faith In The City