Recensioni

Ringo Starr – Give More Love

Ringo Starr – Give More Love

Così “Shake it up”, “King of the Kingdom” e “We’re on the road again” hanno quei ritornelli che si fermano qualche minuto nella testa, salutano con un sorriso e gentilmente se ne vanno. Definire la poetica di Ringo Starr non è semplice: ricordiamo gli stessi Beatles, nelle frequenti interviste degli anni sessanta, definivano il batterista in questo modo :”Ringo is Ringo”. Parole nelle quali c’è tutto: una personalità talmente semplice e lineare da risultare forse la più forte. Colui che si mette al timone/batteria per giungere alla terraferma.

Ninos Du Brasil – Vida Eterna

Ninos Du Brasil – Vida Eterna

Strati di synth e batterie elettroniche che si sposano con voci, effetti, ed una fitta trama di “oggetti di varia natura che potessero avere un suono nuovo ed accattivante”. Bravo Rocco Rampino che ha permesso tutto questo in sede di produzione. Roba tipo “Algo Ou Alguém Entre As Arvores”, fra sovrapposizione (di suoni), bottiglie che rotolano e strani discorsi autoritari. Brani per una corsa a perdifiato nella foresta nera, così umida e temibile, con la sensazione perenne di essere braccati da qualcuno o da qualcosa.

Living Colour – Shade

Living Colour – Shade

Le lancette del tempo si sono fermate. I Living Colour ripristinano lo spirito giovanile e scanzonato del debut “Vivid”, murandolo col suono metallizzato e maturo del grandioso monolite “Stain”. I nostri non si complicano la vita – l’assenza pressoché totale delle ‘progressioni sperimentali’ di “Time’s up” – sparando veloce ed alto mediante tredici pezzi pieni di forza, energia: un vero tripudio ritmico, d’ironia e umiltà.

Marrano – Gioventù Spaccata

Marrano – Gioventù Spaccata

Togliamoci subito il dente, ché il parallelo con la band dei fratelli Ferrari (Verdena) arriverà puntuale come una sentenza: forse anche giustamente, vista l’egemonia sul Grunge (?) italiano conquistata meritatamente nel tempo dal gruppo bergamasco. Insomma, l’opera prima dei Marrano si abbevera sicuramente alla fonte di certi approcci consolidati in un Requiem, sottolineati da esclamazioni per una maturità ottenuta (Wow!), lasciando al contempo che i riferimenti portanti puntino altrove. 

Mogwai – Every Country’s Sun

Mogwai – Every Country’s Sun

I Mogwai hanno avuto la fortuna di tirare comunque dritti per la loro strada e riuscire a diventare dei classici del post rock. E a ogni genere, per quanto decaduto, serve il suo “classico”, ed è meglio che sia ancora vivo piuttosto che morto. Nel caso dei Mogwai il gruppo è vivo e vegeto e questo disco ne è la conferma: si viaggia attraverso un solco ben consolidato, ma con l’attitudine di volerlo tracciare ogni volta, senza stravolgere uno stile ormai inconfondibile e con un alto grado di ispirazione.

Susanne Sundfør – Music for People in Trouble

Susanne Sundfør – Music for People in Trouble

Un’essenzialità quindi ridotta ai minimi termini. Sono quasi sempre solo due gli strumenti che si odono, uno dei quali la sempre versatile voce sempre elastica sulle più armoniose modulazioni e alla ricerca sempre riuscita di melodiose creazioni. Qualche stralcio di synth e di elettronica compare sempre in versioni minimali e scarnificate, poste come outro o intro di alcuni brani. L’esatto contrario di tutto ciò che si poteva sentire negli album precedenti.

Motorpsycho – The Tower

Motorpsycho – The Tower

“The Tower” ostenta ben oltre il semplice patchwork delle parti. È espressione di maturità, che si riassume nella capacità della band di gestire la materia rock (tutta). Sapere ascoltare la musica prima ancora che suonarla o produrla. Maestri.

The Pain of Being Pure at Heart – The Echo of Pleasure

The Pain of Being Pure at Heart – The Echo of Pleasure

Non è proprio il loro lavoro più interessante, tenendo conto che della formazione originale è rimasto solo il cantante, ma di sicuro è un ottima modo di passare i tiepidi sabati sera autunnali. Suono ricco, deciso, che strizza l’occhio alle nuove tendenze, ma rimane saldo al calderone indie – l’etichetta è la loro e la produzione molto homemade, forse una delle poche cose che ancora si possono definire indie.

Giovanni Succi – Con Ghiaccio

Giovanni Succi – Con Ghiaccio

Poesia caustica in questa quasi dozzina di canzoni nate fra l’ortica dei pensieri e delle esperienze sociali,
per un discorso che avrebbe potuto partorire soltanto il Paolo Conte disinteressato alle donne dopo aver aderito alle brigate rosse. C’è del terrorismo ed e’ sottocutaneo, con la sensazione che in questo disco si sia trascesa la canzone in favore di un’opera letteraria subdola e Punk – pardon Black Metal.

Ariel Pink – Dedicated to Bobby Jameson

Ariel Pink – Dedicated to Bobby Jameson

Come in tutti i lavori precedenti risulta difficile tracciare il limite tra parodia e cinismo, romanticismo e fragilità, voglia di crescere o di rimanere in un limbo adolescenziale. La certezza è nella qualità indiscussa della ricerca musicale che è racchiusa in un lavoro che capolavoro non è, ma è ben presentato nella parte visual ed entusiasma parecchio i nostalgici.

Hercules & Love Affair – Omnion

Hercules & Love Affair – Omnion

Se l’identità degli Hercules & Love Affair è stata quella di un collettivo in perenne cambiamento, il nuovo Omnion segna una discontinuità proprio per l’inedita stabilità della formazione di oggi. Sì, perché Gustaph e Rouge Mary, per il secondo album consecutivo cantano in buona parte delle tracce e colorano (è il caso di dirlo) i live con le loro presenze. Omnion ripropone la collisione tra disco, house e pop ma con un  senso di rafforzata omogeneità.

The Valium – Amazing Breakdowns

The Valium – Amazing Breakdowns

Approccio analogico e ampli a valvole, cercano ripetutamente quel suono – “Amazing Breakdowns”, viene mixato per ben tre volte nelle location di Londra, Bologna e Cava de’ Tirreni – che dai garage di un’America con alle spalle il sogno Sixties è arrivato fino alle lande del nord Europa, aggiornandosi, mutando in continuazione.

Neil Young – Hitchhiker

Neil Young – Hitchhiker

Non sono canzoni o interpretazioni che lasciano indifferenti. Anzi, si percepisce la sensazione che Young abbia ancora molto da dire: specie se un album di oltre trent’anni fa risulta ancora tanto fresco e pulito. Qui ritroviamo, per l’ennesima volta, la coerenza poetica di un uomo che ha utilizzato la musica come lente d’ingrandimento mediante la quale evidenziare avvenimenti del quotidiano.