Camel – Rajaz

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«La musica dei poeti un tempo conduceva le carovane attraverso il grande deserto. Cantata a ogni singolo metro del passo dell’animale, legava gli stanchi viaggiatori al loro unico obiettivo… la fine del viaggio. Questa poesia è chiamata “Rajaz”. È il ritmo del cammello.»
Con queste parole Andy Latimer ci presenta l’ultima fatica dei suoi Camel, “Rajaz”, uscito nel 1999 e con ogni probabilità l’ultimo album di questo gruppo dalla carriera ultratrentennale, che ha già effettuato un “Farewell tour”.
Un gruppo di classe i Camel, incapaci tuttavia di sfondare pur nonostante le loro indiscutibili qualità, per il fatto di non aver mai avuto un frontman abbastanza carismatico e incisivo, almeno secondo il pubblico e i fan stessi della band; eppure capaci nel corso degli anni di regalarci perle come “Moonmadness”, “The Snowgoose”, “Rain Dances” (con Brian Eno) e ora capaci di chiudere la loro carriera – salvo eventuali sorprese – con un lavoro sublime.
“Rajaz” non è un concept, il tema di questa poesia del deserto è affrontato solo nella title-track, nella strumentale “Sahara” e nella conclusiva “Lawrence”, anche se le soavi ed esotiche atmosfere cui Latimer e soci danno vita ci conducono in un Sahara più poetico che mai.
L’introduzione strumentale “Three Wishes” già ci fa capire che ci troviamo di fronte a un lavoro di ottima qualità, la chitarra di Andy e i synths dello stesso leader e di Tom Scherpenzeel ripropongono in chiave attuale quel “Canterbury sound” cui la band si ispirava – anche se è bene notare che i Camel non furono propriamente una band di questa leggendaria scena. Rispetto ai gloriosi anni ’70, almeno secondo il modesto parere di chi vi sta scrivendo, questo “Rajaz” sembra essere un album più maturo, più completo, sarà forse che oggi di band che suonano così ce ne sono ormai poche, ma pezzi come “Lost and found” o “The final encore” ci mostrano una band in forma smagliante, soprattutto con Latimer che riesce a incidere maggiormente con la sua voce calma, che ben si adatta alle atmosfere oniriche di questi due pezzi che sembrano essere due meditazioni nate sotto la luna del Sahara.
Un delicato e semplice arpeggio accompagna la suggestiva e matura voce di Andy introducendoci nella title-track “Rajaz”, una notturna e malinconica canzone in cui si inseriscono magnificamente il violoncello di Barry Phillips e il flauto dello stesso Latimer. Una traccia riuscitissima nella sua evocatività che va sicuramente a piazzarsi fra le migliori creazioni del combo inglese.
“Shout” col suo ritornello easy e la sua breve durata rispetto agli altri pezzi è una ballad che avrebbe potuto essere un ottimo single. «I can’t explain the way I feel. / Why, even to this day, / i still love the sound of that red guitar…» è semplicemente meravigliosa la dichiarazione d’amore nei confronti della musica contenuta in “Straight to my Heart”, uno dei pezzi più intensi dell’intero “Rajaz” – anche se è molto difficile stabilire un ordine preciso, perché ciò che vogliono i Camel è emozionare il proprio pubblico. La già citata “Sahara” è una calda strumentale che sembra voler fare da soundtrack a un tramonto in pieno deserto; invece la traccia conclusiva “Lawrence”, la più lunga dell’intero album coi suoi oltre 10 minuti, rende omaggio proprio a lui, Sir Thomas Edward Lawrence, meglio noto come “Lawrence d’Arabia”, l’eroe del deserto per eccellenza in terra d’Albione e non solo. Una chiusura romantica e dal vago sapore epico per questo riuscitissimo album e, con ogni probabilità, per l’avventura dei Camel, che pure hanno dimostrato di aver ancora molto da insegnare ai colleghi più giovani.
“Rajaz” è semplicemente un album magico che sicuramente non sarà innovativo ma scrive un’altra memorabile pagina nella storia di Latimer e soci, un album maturo e carico di emozioni che non lascerà certo delusi gli appassionati di sonorità progressive di classe in puro stile anni ’70, così lontane ma allo stesso tempo così vicine.
Fortemente consigliato.