In una capitale che –quando troppo e quando niente- pullula di interessanti eventi live (questa sera suonano anche Beastie Boys e Franz Ferdinand) arriva al circolo degli artisti Graham Coxon, una delle colonne chitarristiche del britpop. Ma di britpop, stasera, c’è solo l’atmosfera e il look. Il locale è pieno di orfani del 96, con un look che variano dal trasandato Libertino al classico bravo Ragazzo Ordinario o ad un’eleganza Killer. E’ innegabile dire che molta gente è qua per la fama di “chitarrista dei Blur” ma stupisce altrettanto sapere che molti conoscono il vario repertorio di Coxon, che da un cantautorato intimo, passando per un power pop di stampo americano è infine tornato, complice Stephen Street alle classiche sonorità inglesi degli anni 90. Tutti qua per Graham quindi, non per “quello dei Blur”!
Il gruppo si fa attendere ma, appena l’occhialuto genietto sale sul palco è una festa, una gioia vederlo in un locale così piccolo, con quella sua classica espressione dipinta sul volto che sta a metà tra il “mi sono appena svegliato” e il “che ci faccio qua?”. Si guarda attorno divertito, salutando con gli occhi il pubblico e accennando qualche sorriso grattandosi la testa, imbraccia al volo una telecaster azzurro pastello e il concerto decolla immediatamente. Il gruppo (un altro chitarrista sempre alla telecaster, un batterista con una ludwig che dire essenziale è dire troppo:cassa, rullante e al posto del tom un campanaccio, basso dal suono secco e grasso, spesso con un overdrive a renderlo ancora più sporco e un tastierista che –per sfortuna- s’è sentito poco e niente) suona splendidamente, mantenendo un groove ritmato che ci impone ora di saltare ora di oscillare a tempo la testa e, cosa essenziale, fornisce a Coxon una sicura base su cui può tranquillamente lanciarsi in assoli poderosi, ricchi di bending e di una ricerca/gioco di effetti che porta spesso la chitarra a diventare più suono che note.
E Graham è il primo a divertirsi in tutto ciò, saltando con la chitarra a tracolla, dondolando per il palco, incitando allegramente i suoi musicisti che ridono fra loro nel vederlo così schizzato e carico di energia (e ci credo, andava avanti a red bull! Se ne sarà bevute 3!) e dialogando con il pubblico che gli passa ora un cappello ora una collana, oggetti che indossa come fossero trofei durante le canzoni.
Il repertorio proposto è quello di una festa: fuori i pezzi lenti, le ballate in acustico e le tristezze cantautorati e dentro l’allegro pop che si annida in ogni album: da Hopless Friend a una lunghissima i Wish, da All i Wanna do, con un attacco rumoristico potente come pochi alle hit dell’ultimo Happiness in magazine, Spectacular e Bittersweet Bumble of Misery (l’unico pezzo che ci ha ricordato che sì, in un angolo del palco, c’è anche un omino con una vecchia Farfisa davanti), passando per la cover dei Mission of Burma presente su The Golden D (That’s when i reach for my Revolver) e un brano nuovo, sempre di stampo power-pop. Un’ora che vola via in un secondo, e neanche fa si fa in tempo prendere la classica pausa di fine set che subito viene chiesto a gran voce il bis, scatenato e violento come tutti volevamo che vede il folle Graham tornare in scena con dei mastodontici occhiali dalle lenti riflettenti e tuffarsi in una Freakin Out velocissima e una devastante conclusiva Jamie Thomas che scatena il pogo.
Peccato solo per la mancanza di un after-show: il locale chiude subito, c’è un’altra data in programma già domani. Ma, ultimo regalo della serata, Graham non si fa negare e, ciondolando allegramente come se la fatica e la stanchezza non lo toccasse, si concede per brevi chiacchierate, qualche foto e gli autografi.
S*p*e*c*t*a*c*u*l*a*r!