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I Neils Children sono una scheggia impazzita che sta vagando per londra. Un Sound acido, graffiante, che poggia sule basi di un punk di stampo anni 80, ricercando con la chitarra effetti e suoni tipici di un synth (How does it feel now…) richiamando lo stridente suono di telecaster in stile J. Greenwood piene di effetti e compressori.
Non so perché, ma in 9 brani carichi e tirati, che colpiscono e schiaffeggiano mi vengono sempre in mente i primi Cure, quelli dell’omonimo album. Sarà il paffuto cantante john ginger? O sarà il look? O più semplicemente il fatto che è innegabile l’influenza di brani come Killing an arab o f.i.r.e.i.n.c.a.i.r.o. sulla band? Ma non limitiamo la band a un revival di venti anni fa, i Neils children sono di più. Sono quello che i Manic Street Preachers erano all’inizio: un insieme di cultura pop, politica, rabbia giovanile, scontentezza cronica e quel pizzico di sana follia che li sta portando ad essere sulla bocca di tutti. Alla luce di queste considerazioni l’album prende una forma diversa, si capisce il perchè di testi così paranoici, cinici e scioccanti, ma veniamo alla musica.
I tre elementi che compongono la band ce la mettono tutta per rendere il disco il più vario e piacevole possibile, evitando le ristrettezze che comporta l’essere in 3 (le sovraincisioni in questo lavoro sono pressoché nulle). Ed ecco quindi una batteria che si alterna tra 4/4 scontati (I hate models) a veri e propri pattern originali (How does it feel now you’re on your own?), un basso plettrato secco a tal punto da essere quasi un drumming che ricalca talvolta la melodia della voce e soprattutto una chitarra arrugginita, sferragliante, con distorsioni mai piene o grasse, sempre spigolose e taglienti che si abbandona volentieri a feedback e strazianti assoli. E infine c’è la voce, un cantato che ondola tra un lapidario monocorde quasi Joy division (Trying to be someone else for free) a qualche strillo troppo gratuito (alla Vines per intenderci).
Tirando le somme un disco che è una piccola bomba che però ha nel suo punto di forza anche il suo punto debole. Personalmente mi ci sono voluti 6-7 ascolti per entrare nell’ottica dei Neils children, sulle prime ero un po’ dubbioso, e-occhio- basta distrarsi un attimo che sopraggiunge un immenso mal di testa! Ma ascoltando con attenzione ogni singola canzone si rimane affascinati dal gioco di costruzioni (Getting evil in the playground) e dalla schiettezza e freschezza dei brani. “Non siamo qui per salvare il rock, ma per distruggerlo” dice la band, e per essere il primo attacco non è niente male! Next big thing? Probably…