Kasabian – Kasabian

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Se state leggendo questa recensione curiosi di sapere come sono i nuovi Oasis lasciate perdere. I Kasabian stanno agli Oasis come i Libertines ad Aphex twin. Certo di fondo cì’è quella voce un po’ Gallagherosa, ma limitare il commento a questo vorrebbe dire fermarsi alla superficie e non scoprire un disco che -diciamolo- è veramente interessante (e potrebbe anche essere tra i primi 20 dell’anno).

Pensate ad un quadrato, su un vertice i Cooper temple clause, sull’altro i Primal Scream, poi i Kula shaker e gli Stone roses. Ecco i Kasabian stanno al centro di tutto questo. Il loro sound ricorda molto quello dei Cooper, macchiato da dei Primal Scream sotto lsd (diciamo periodo Screamedelica-Vanishing point) con un cantato strafottente come Gillespie , le chitarre e le voci sono simili a quelle della band di Crispian Mills (soprattutto nei cori arabeggianti -Club foot, infine c’è quel gusto tipicamente Roses-iano di melodie ipnotizzanti, di un beat martellante e coinvolgente, quasi baggy.
Analizzando l’album si può notare che la maggior parte del lavoro la svolge un basso, che detta legge su ogni pezzo, e i suoni semplici ma usati in modo originale (Process Beat, una danza ipnotica su un’acustica sferragliante).
La prima parte è sicuramente la più ispirata Club foot irrompe col suo riff ripreso nel chorus e Process Beat da il modo alle danze di continuare, si è già entrati nell’atmosfera dei Kasabian acida e eccessiva o, come si dice ora, shroomedelica. Reason is Treason è il classico pezzo martellante alla Primal scream, che spinge sempre più sull’acceleratore diventando una scheggia impazzita senza freni, e anche i seguenti 2 pezzi (I.D. e Orange) ricordano molto il dub di Vanishng point. Da L.S.F. in poi i Kasabian si danno più da fare sugli strumenti, il disco sembra calare nell’ispirazione ma di contro acquista più colore, gli strumenti sembrano più caldi e si ha l’idea di un gruppo che stavolta ha passato più tempo davanti al mixer che dietro. E nello studio sembra quasi sia arrivato Ian Brown con tutti gli scarti di Unfinished Monkey Business dando il via a tappeti ipnotici (Ovary Stripes) ricchi di feedback quasi psichedelici (la conclusiva U-Boat e maestosa nella sua semplicità, peccato che finisca troppo “secca”).
Non si perde tuttavia mai di vista una solida anima rock che si insinua sempre in ogni brano (Cut Off, con il suo riff). Proprio da questa e dalla sua perfetta fusione con un sapiente uso di tappeti di synth e tastiere (Test transmission) tornano alla mente il primo lavoro dei Cooper temple clause, corretto ed evoluto.

Il risultato finale? Un disco solido e omogeneo, opera prima di un gruppo che sembra avere già tutte le idee chiare in testa e che vi consiglio vivamente di tenere d’occhio.