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C’era un tempo in cui il momento della pubblicazione del live album per un gruppo rock rappresentava un punto centrale della propria carriera. Si pensi solo a cosa sono stati per la storia del rock autentici capolavori come “Made in Japan” dei Deep Purple, “Live at Leeds” degli Who, “Live Dead” dei Grateful Dead, “At Filmore East” della Allman Brothers Band, solo per citarne alcuni. Dischi che hanno fatto storia e hanno reso il rock un fenomeno sociale e di comunicazione straordinario ancor prima di un semplice linguaggio musicale. Per non parlare dell’enorme fascino che questi dischi recano con sé.
La sensazione è che ultimamente la pubblicazione di un live album abbia perso la valenza artistica che aveva, e che sempre più frequentemente abbia assunto le caratteristiche di un pretesto per rimanere a galla in un mercato, come quello discografico, la cui saturazione è a livelli tali da giustificare qualsiasi uscita.
E i Dream Theater, che con l’abilità del miglior illusionista hanno fatto credere a tutto il mondo di essere il nuovo punto di riferimento per il rock progressivo moderno, stanno facendo una cosa che ha dell’inquietante: stanno pubblicando, anzi lo avranno già fatto nel momento in cui avrete finito di leggere questo articolo, un altro live album. Triplo per giunta. Il terzo in sei anni. Senza avere avuto il garbo e l’eleganza di averne pubblicato soltanto uno vicino anche solo 1000 miglia al concetto di cui parlavo inizialmente, sebbene il tentativo, purtroppo goffo e patetico, ci fu all’indomani dell’uscita di “Metropolis part 2 : Scenes from a memory”, quando Petrucci e soci si misero in testa di voler imitare le gesta dei Pink Floyd andando a riproporre per intero il concept dal vivo sia nelle musiche che nella scenografia, fornendone in seguito una tediosa testimonianza sia su cd, manco a dirlo triplo, che su dvd.
Nello specifico mi si chiede di parlare di “Live At Budokan”, quindi cominciamo col dire che io questo nuovo ed ennesimo live triplo dei Dream Theater non l’ho comprato e non ho nessuna intenzione di farlo: un amico me lo ha gentilmente concesso in prestito affinché lo potessi ascoltare. Comunque sia, da dove dovrei iniziare per descrivere una esibizione live dei Dream Theater? Considerata la peculiarità principale del gruppo, ovvero quella di essere, a detta di molti e da tempo immemore, il gruppo rock tecnicamente più sensazionale del pianeta, potrei cominciare col sottolinearlo. Ma pur volendo giudicare anacronistiche le premesse con cui ho esordito circa la funzione che un live album dovrebbe avere e volendomi pure accusare di eccessivo senso nostalgico, davvero avete bisogno che un Samuele Boschelli qualsiasi stia a raccontarvi di quanto siano bravi i Dream Theater, di quanto siano precisi, di quanto siano incredibilmente dotati? Permettetemi la domanda: ma non lo sapevamo già? Non eravamo già al corrente della perizia con cui ripropongono i loro brani dal vivo, dell’abilità con cui allestiscono i medley strumentali, della velocità di Petrucci, della potenza di Portnoy ? E persino volendo cambiare taglio alla faccenda, andando a parlare della annosa storia riguardante la poca “visceralità” del gruppo, non vi sembrerebbe di star parlando, da 15 anni ormai, delle stesse cose? Parlare dei Beatles sarebbe senz’altro un tema più attuale. Mi trovo in reale difficoltà nell’affrontare questo articolo, non so cosa descrivere, quale aspetto dei Dream Theater mettere in luce questa volta che non sia già stato sottolineato in almeno altre quindici occasioni , anche se, a dirla tutta, già da un po’, più o meno da quando si cominciava a vociferare della sua uscita, avvertivo l’idea che questo live fosse ancora una volta tutto un bluff. O per meglio dire la solita, patetica ricorrenza discografica, che a conti fatti nulla aggiunge e semmai toglie in termini di credibilità artistica al gruppo di Mike Portnoy.
Tagliamo corto: io credo che tutti i lettori di Rocklab siano persone intelligenti e con senso critico, per cui credo di sfondare una porta aperta se dico che questo live vale quanto la quindicesima proiezione del Titanic “Holywoodiano” a cui ha dovuto assistere il vostro amico su amorose pressioni della fidanzata in preda ai bollori e ai pruriti derivati dalla visione del Di Caprio.
In poche parole, sebbene sia loro redditizia, questa formula comincia a stancare. Anzi, ha stancato già da un pezzo. Per carità, non sto affatto affermando che un gruppo rock debba stupire il pubblico ogni qual volta decide di immettere un prodotto sul mercato, d’altro canto a mio parere non si deve nemmeno ricorrere a certe subdole operazioni per tener vivo l’interesse verso il gruppo. O almeno non con questa eccessiva frequenza.
Sinceramente, se cercate l’ennesima cascata di parole entusiastiche circa le loro doti, vi invito alla ricerca delle recensioni del live del 1998, di cui per fortuna ho dimenticato il titolo, oppure quello del 2000, del quale per fortuna ho dimenticato il titolo, senza peraltro farlo apposta. Tuttavia, ciò non servirebbe ad altro che confermare quanto penso, ossia che le parole spese per descrivere le allora mirabolanti esecuzioni dei nostri sarebbero state le stesse di quelle altrettanto mirabolanti contenute in questo “Live At Budokan”. Precisazione a scanso di equivoci : “stesse” non riferito al livello qualitativo, sul quale si potrebbe disquisire per ore senza peraltro approdare a niente, ma semplicemente alla descrizione nuda e cruda dell’evento. E cosa è una descrizione identica nelle parole, nei fatti e perché no nelle emozioni, di una faccenda che per giunta ambisce ad essere una opera d’arte, se non un imbarazzante falso?
Inoltre, volendo scendere ancor più nello specifico, le canzoni che compongono questo live, che per dovere di cronaca preciso essere state scelte per lo più dagli ultimi due studio album, sono praticamente identiche a quelle che già avete ascoltato sugli album di appartenenza. Quindi, c’è qualcuno che vorrebbe spiegarmi per quale motivo ancestrale i Dream Theater hanno pubblicato questo “Live At Budokan”, soprattutto se consideriamo che, dal 1997 ad oggi, su 4 album in studio avevano già fornito 2 testimonianze live, tra l’altro, permettetemi, abbastanza trascurabili. Cos’altro se non soldi, stanchezza creativa, l’essere allo stesso modo schiavi e fruitori di un sistema che con agghiacciante leggerezza ha lasciato che, con conseguente ed altrettanto agghiacciante cinismo, la musica fosse definita un “bene di lusso”, per cui si è costretti a pagare l’iva al 19% ogni qual volta ci avventuriamo nell’acquisto di un disco. E magari va pure a finire che qualcuno tira fuori con sciagurata leggerezza l’antico dogma, tipicamente “metallaro”, del rispetto (sai che rispetto!) per i fans, che si aspettano nient’altro che un “Live at Budokan” proprio in questo torrido ottobre 2004, giusto per rivivere a casa quelle irripetibili emozioni vissute durante i concerti di questa estate, di cui a quanto pare i Dream Theater credono che proprio non riusciamo a fare a meno. E la storia finisce qui, ognuno resta della sua idea, la tendenza generale che circola nell’ambiente metal/rock progressivo, volta ad una inesauribile voglia di autocitazione nonchè alla creazione di patetici cloni, rimarrà pressappoco la stessa, il polpettone in questione non servirà altro che ad accendere l’ennesima e sterile discussione circa la presunta freddezza del gruppo, rivelando come sempre pochissime certezze. Tra cui una, inquietante, in ultimissima analisi: che i Dream Theater, sebbene – ci scommetto – consci del poco romanticismo che si cela dietro alla programmazione dei loro live albums, continueranno a pubblicarne di altri. Dato che la formula funziona.
In realtà questo articolo più che una recensione vuole essere un invito alla riflessione per chi segue i Dream Theater e per i Dream Theater stessi se mai fossero all’ascolto, circa il loro comportamento etico-professionale. Ma in verità è un atteggiamento che purtroppo vedo essere esteso a gran parte della scena rock di oggi. Io credo in tutta onestà che sia giunta l’ora per i nostri di cambiare qualcosa nella loro direzione artistica, nella loro strategia discografica e nel modo di concepire i loro shows. I Dream Theater hanno avuto modo negli anni di stupire tutti, o quasi, dal vivo, in studio, con le collaborazioni a cui ci hanno abituato, ma questo triplo live è per molti versi poco meno di un insulto all’ ”altra” discografia, ai gruppi che faticano ad emergere pur avendo qualcosa di interessante da dire e se confrontato con la passione che anima certi gloriosi live albums, il lussuoso “Live At Budokan” verrebbe voglia di rispedirlo al mittente con allegata una richiesta di risarcimento per danni morali.
In fondo mi rendo conto di parlare da amico deluso. Già, perché i Dream Theater sono stati per me uno dei gruppi centrali della mia giovinezza, e non sapete quanto mi farebbe piacere un loro ritorno in grande stile, senza queste scaltre trovate discografiche. Tuttavia, se malauguratamente doveste credere che “Live at Budokan” rappresenti la miglior cosa che i Dream Theater potessero darci oggi, mi rimetto al volere del popolo, e cercherò in futuro di tenere a bada certe considerazioni cosmiche emerse in questo articolo.