Junior boys – Last Exit

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Il disco dei Junior boys è un lavoro un po’ infame… Viaggiando su un’elettronica pop che ogni tanto ama perdersi in territori lounge un po’ troppo snob e rielaborando le lezioni di una disco-pop anni 80 (Duran e Depeche mode) e quella anni 90 (Zoot woman), I junior boys sfornano un disco tanto elegante quanto freddo, un ottimo sottofondo per locali high-tech o un programma tipo Nonsolomoda. E’ un male o un bene? Mah, difficile dirlo tanto il disco ammalia e si lascia ascoltare spensieratamente, senza pretendere attenzione ma spalmandosi sull’ambiente circostante, diventando una colonna sonora per ogni azione, quella particolare musica che si sa che è nell’aria anche senza il minimo interesse dell’ascoltatore. Ogni tanto si viene rapiti dalla voce (more than real) o dal beat che si insinua (Bellona), ma la maggior parte dell’album è fatta da quegli episodi che sfiorano un’elettronica più minimale (definirla di stampo Warp mi apre eccessivo) dove il creare l’atmosfera prende il posto della forma canzone (neon rider, Three words).
L’impressione che balena è però che i Junior boys non hanno di fondo nè i numeri né la testa per provare a spingersi in un ambient più interessante, più affascinante e suggestivo o in un disco pop più “sfizioso” e quindi, come un ritorno all’inizio, perfetta chiusura del cerchio, il disco finisce proprio come era iniziato, con tranquilli beat a fare da base a synth che giocano su giri classici, senza troppo concedersi a sperimentazioni e ricerche sonore.
In sostanza un lavoro un po’ vuoto, che non trova molto da comunicare perché sta lì, inserendosi tra un nostro movimento e l’altro, auto-assorbendosi con suoni e ritmi, basi invisibili e impercettibili che avvalendosi di giri di loop anche troppo lunghi (sbaglio o More than real è per 7 minuti la stessa identica strofa senza nessuno special, cambio di tempo, beat…) martellano lentamente l’ascoltatore, piano, senza fretta e , colpo dopo colpo, si piantano saldamente in testa riuscendo magari anche “a farsi sentire”, ma da qui all’essere ricordate ce ne vuole…