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L’italianissima Elisa è sempre stata l’esatto contrario di ciò che l’immaginario collettivo si aspetterebbe da una cantante pop della nostra bene amata Italia. Lontana anni luce dal modello “cantante da piano bar” che ci restituisce, a scadenze regolari e con innato squallore, nuove leve che rincorrono quel tediosissimo ed ormai odioso vocalizzo soul portato alla ribalta in Italia da Giorgia (potrei sbagliarmi a riguardo, tuttavia non ne farei un dramma ), Elisa ha invece sempre fatto dell’esterofilia la sua arma vincente, evidente nella lingua che usa nelle sue canzoni – l’inglese – ma ancor più nelle interessanti sfumature che caratterizzano le sue opere. Dopo aver comunque concesso alla nostra lingua un solo ma ottimo episodio che si è guadagnato la vittoria al festival di Sanremo (“Luce”), in molti si sarebbero aspettati una decisa virata verso la lingua italiana ed un sound più vicino a quello di altre ricche signore della canzone italiana. Ma così fortunatamente non è stato, e l’ottimo “Then comes the sun” pareva precisare che Elisa è un’artista prima di tutto per sé stessa. La recente parentesi acustica “Lotus” ci consegnava un’ artista sempre più immersa in un sound malinconico ed intimo. Ma come lei stessa precisò a più riprese, “Lotus “ era un episodio che voleva soddisfare la sua voglia di calore e dolcezza, e come tale destinato a concludersi aprendo nuovi orizzonti. Ma da qui ad immaginarsi un singolo come “Together” ce ne corre e chi di voi lo ha già ascoltato sa di cosa parlo. C’è una piacevole tendenza alla riscoperta del lato più selvaggio di noi in questa canzone, gli ascolti che caratterizzavano le giornate di quando eravamo un pochino più giovani e volevamo contestare tutto e tutti. Ma Elisa è persona ed artista intelligente, e non si sognerebbe mai di scomodare citazioni inopportune; perciò la sua rabbia, tutta espressa in quel riff di chitarra tanto semplice quanto efficace, è rimodellata adeguatamente con le sonorità che nel rock oggi vanno per la maggiore. La successiva e altrettanto riuscita “Bitter Words” prosegue il discorso con qualche finezza vocale in più e una struttura volutamente più articolata, ma il sound è sempre quello trascinante del singolo “Together” e la convinzione dell’ascoltatore è quella di assistere ad un disco selvaggiamente rock, ok patinato e fin troppo ben prodotto, ma assolutamente rock. Ed invece? Ed invece dopo questi due ottimi episodi torna a farsi largo una sciagurata propensione per certo pop rock di italianissima estrazione, che trae insegnamento dalle subdole lezioni “ramazzottiane” e “vascorossiane”. Sebbene non manchino episodi di buona fattura (la title track e la conclusiva “Life goes on”) la parte rimanente del disco si adagia colpevolmente su atmosfere che sanno di “ruffianismo” e necessità commerciali che sottolineano anche una preoccupante stanchezza creativa. Peccato, le prime due canzoni lasciavano intravedere un sound moderno, frizzante, in cui la splendida voce di Elisa faceva il resto. E lo faceva splendidamente come al suo solito. Probabilmente “Pearl Days” è il disco che Elisa ha creato per uscire fuori dai confini italiani. Peccato solo che a mio parere farà conoscere il capitolo meno riuscito della sua carriera.