A Perfect Circle – eMOTIVe

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“Emotive” non è un album qualsiasi. E’ un urlo di protesta, un grido contro la conferma di quell’uomo considerato responsabile della tremenda politica internazionale portata avanti in questi anni dagli Stati Uniti, capace di far confondere il concetto di pace con gli orrori della guerra, la nobiltà degli aiuti umanitari con una più verosimile voglia di conquista economica. “Emotive” sarà poi pubblicato il giorno che renderà vani tutti questi urli, il 2 novembre 2004. Per l’occasione gli A Perfect Circle prendono parte alla scuderia di artisti rock politicamente impegnati dai tratti poco convincenti, e hanno rilasciato questo album di covers, neanche tanto scontate, di brani votati al pacifismo e alla protesta. Trova spazio, tra citazioni di Joni Mitchell, Depeche Mode, Elvis Costello, Black Flag, Devo, la celeberrima “Imagine” di John Lennon, senz’altro il capitolo centrale dell’opera, al cui sound Maynard e soci hanno conferito un’ atmosfera da incubo e angoscia, in cui le parole di speranza dell’ex Beatles vengono inquinate e sgretolate da un pessimismo sonoro inquietante, ben espresso tramite l’uso di incredibili violini dall’effetto sinistro e da un pianoforte a dir poco sbilenco. Un episodio che ha fatto discutere già molto, chi la ama e chi la odia, sicuramente un modo particolare e coraggioso di interpretare una delle canzoni più famose del rock e solo per questo meritevole di rispetto. Il disco scivola via tra luci ed ombre, riadattamenti riusciti solo in parte ed altri da dimenticare in fretta e il solito paio di inediti senza infamia e senza lode che si è costretti ad includere in dischi come questo. Tuttavia “Emotive” conserva un incedere affascinante, quasi apocalittico tipico della matrice sonora degli A Perfect Circle. Dal punto di vista strettamente musicale si nota una notevole perdita di pesantezza a favore di un aumento della componente tastieristica sebbene portata avanti soltanto dall’uso di delicati quanto particolari tappeti, che spesso hanno la funzione di colorare gli scheletri ritmici delle songs. In definitiva un album sicuramente insolito, che stimola la curiosità, non brutto, neanche perfettamente riuscito, un album su cui incombe a volte lo spettro dei dischi di circostanza e al quale si da volentieri un ascolto, magari anche due, destinato però a finire troppo in fretta negli angoli polverosi delle collezioni di dischi, lasciando nella memoria soltanto la stupenda copertina, oltre ai nobili quanto (purtroppo) inutili messaggi di protesta che ha voluto recare con sè.