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Che cosa si può provare a dire sui dischi di David Bowie che non sia già stato detto? In effetti è molto difficile rispondere, perché siamo di fronte ad una delle grandi icone della musica Rock di sempre, e credo che sulla sua produzione discografica, e non, sia già stato detto di tutto ed il suo contrario. La stessa cosa potrebbe valere per tanti altri: Dylan, Beatles, Stones, Doors, Springsteen, tanto per fare qualche nome.
Bowie il camaleonte, Bowie l’istrione genialoide-opportunista: una montagna di dischi, spalmata nel corso di una carriera ormai (quasi) quarantennale.
Avrei voluto parlare di qualche album della sua produzione più recente, ma la scelta, inevitabilmente direi, ricade sempre sui grandi classici. Spiace dirlo, ma io credo che gli ultimi VERI capolavori di David Bowie risalgano al lontano 1977, e mi riferisco al binomio Low-Heroes. Successivamente, due grandi dischi come Lodger (79) e Scary Monster (80), e un ottimo disco come Let’s Dance (83); dopo di che un ventennio di musica senza grandi emozioni, solo qualche episodico sprazzo della sua grande classe. Poche idee, molta routine. E’ chiaro che la produzione che và dal 1969 (Space Oddity) fino al già citato Heroes è di livello stellare.
Space Oddity, dicevo. Il secondo album ufficiale di Bowie, dopo l’esordio del 1967 (“David Bowie” Deram Records). Và detto, per la precisione, che questo album uscì originariamente con il titolo di Man of World / Man of Music, e venne poi ristampato con titolo e copertina diversi per qualche motivo legato a problemi discografici-contrattuali che non conosco. In effetti Space Oddity è un disco un po’ strano, perché è molto lontano dal Bowie decisamente Glam-Rock dei dischi da lì a venire: quasi completamente acustico, dai toni mediamente malinconici e delicati, strampalato e un po’ naif. Sicuramente è il disco più “cantautorale” mai fatto da David Bowie. Inutile nascondere che l’influenza di Bob Dylan, specialmente in alcuni brani, è evidentissima.
La canzone che dà titolo all’album apre il disco. Cosa dire su questo brano, se non che si tratta di uno dei 3-4 brani più belli mai scritti da Bowie, e in assoluto una canzone senza tempo.
Unwashed and Somewhat Slightly Dazed, secondo pezzo, è una ballata nervosa e psichedelica, con una grande armonica: le ombre di Dylan e Blonde on Blonde aleggiano nell’aria.
Letter to Hermione è un brano acustico, nostalgico e delicato; impossibile non pensare al Nick Drake più lirico ed intenso.
Cygnet Committee è sperimentale e melodicamente complessa, David canta con voce dylaniana.
Janine è ritmata ed orecchiabile, un brano tipicamente sixtiees: è uno dei pochi brani vagamente elettrici dell’abum. Un ritmico battito di mani accompagna la melodia molto accattivante.
An Occasional Dream e The Wild Eyed Boy From Freecloud sono altre due ballate notturne e malinconiche. Davvero insolito sentire un Bowie così. Ricordano certe cose degli albori della sua carriera, come London Boys ecc.
God Knows i’m good è puro Bob Dylan al 100 %. Impressionante la somiglianza della voce, ascoltare per credere. (Non deve sorprendere che un artista come Bowie, all’epoca poco più che un emergente, si ispirasse in modo così palese a Dylan il quale, non và dimenticato, in quel periodo era il numero uno assoluto del cantautorato americano.)
Memory of a Free Festival chiude il disco. Insieme all’iniziale Space Oddity è il pezzo più bello e sperimentale dell’album. Una canzone psichedelica e trascinante, con un grande organo che accompagna la voce cantilenante di David.
Questo pezzo non avrebbe sfigurato nella colonna sonora di Jesus Christ Superstar!
Space Oddity, ad oltre 30 anni dalla sua uscita, mantiene intatto il suo fascino. Una quasi opera prima, forse a tratti un po’ ingenua e raffazzonata, ma che bellezza queste canzoni !