L'Intervista
Raggiungiamo Moltheni prima del concerto presso il Circolo e, nonostante un soundcheck lungo e problematico, si mostra gentile e disponibile alle nsotre domande.
Rocklab – Prima ancora di parlare del nuovo Splendore Terrore parliamo del tuo “secret album” Forma Mentis…
Moltheni- Forma Mentis è un progetto ormai concluso, ma che ancora non ha visto la luce per vari problemi…
R- Ne ho sentito parlare, sembra abbia sonorità molto rock, come mai non è stato pubblicato?
M- Problemi con l’etichetta, il lavoro era pronto e concluso, ma all’ultimo loro si sono tirati indietro…
Sono rimasto così con un album per me bellissimo ma che il mio pubblico non ha ancora potuto ascoltare se non durante i miei live.
R- Fai spesso pezzi nuovi… Ricordo di un tuo concerto con un brano chiamato Discografia…
M- Ho sempre molti brani e progetti in un cassetto, spero sempre di farvi sentire ciò che a cui lavoro. Questi brani spesso appaiono in dimensione live, ma non so poi sul disco la forma che possono assumere.
R- Veniamo a questo Splendore Terrore, io per ora l’ho ascoltato solo 3 volte e, quasi per gioco, ho scritto un aggettivo ogni volta che l’ascolto terminava.
M- Curioso, e che aggettivi sono usciti?
R- Il primo è Intimo, il secondo Domestico, il terzo è Ottimista, poi cancellato e sostituito con “meno pessimista degli altri”…
M- Concordo, soprattutto con il primo e l’ultimo.
R- Secondo te non è un album Domestico?
M- Direi più casalingo, confortevole….
R- Si, era quello che intendevo anche io. Il termine Domestico forse suona un po’ “moderno”, ma Casalingo mi sembrava un po’ troppo “rustico”. Direi che forse il termine giusto è Accogliente
M- Sì. Concordo!
R- Tutti questi riferimenti alla casa mi portano alla mente la tua presentazione del disco nella capitale, quello show case privato all’interno del tuo appartamento…
M- Una esperienza splendida!
R- Ho visto le foto in rete, sembrava come una serata tra amici
M- In realtà è stata principalmente una serata tra amici, certo l’occasione di fondo era la presentazione del nuovo lavoro ma questo non toglie la fraterna amicizia che legava tutte le persone all’interno della casa
R- Veniamo infine all’album stesso. Splendore Terrore, nato in 4 giorni.
M- 6 per la precisione, o meglio 4 per le registrazioni e 2 per il missaggio.
R- Come mai un tempo così breve di lavorazione?
M- Triste a dirsi ma il budget ci imponeva quello, abbiamo concretizzando le idee, ottimizzato al meglio il tempo e questo è tutto.
R- Lo studio usato è uno studio famoso nel panorama italiano.
M- Sì, lo stesso che usano i Giardini di Mirò, gli Yuppie Flu.
R- E l’etichetta? Per un periodo ho visto il tuo nome nel carnet della Jestrai.
M- (stupito) No, non è possibile…
R- Era sul sito, giuro!
M- No, forse era per la gestione dei live e il managment, ma nessun contatto “discografico”
Il disco esce per La Tempesta, l’etichetta dei Tre Allegri ragazzi morti gestita da D. Toffolo.
R- E per quanto riguarda la promozione live?
M- Per ora ho questo breve tour acustico, con poche ma intense date, del resto lo stiamo organizzando noi stessi . Si sta parlando di una serie di aperture per El Muniria che forse mi porteranno di nuovo qua a Roma per marzo, ma niente di certo.
R- Ok, prima di concludere l’intervista vorrei che tu ci parlassi un po’ di un artista che , ho letto, ha molto influenzato le tue produzioni: John Fahey.
M- Beh John Fahey è un po’ il padre di tutto quel cantautorato indie, o meglio folk psichedelico…
R- In stile Devendra Banhart quindi,…
M- Sì, esattamente.
R- Che ne pensi di lui?
M- Beh lo stimo molto, è un amico ed è molto bravo.
R- Quale dei suoi due lavori usciti quest’anno ti ha colpito di più?
M- Personalmente credo il secondo della sua discografia (quindi Rejoicing the hands ndr).
R- Tornando su John Fahey… avresti un album in particolare da consigliare?
M- Beh è una cosa direi impossibile, la sua discografia è vastissima e non me la sento di indicare un lavoro a scapito di altri, personalmente la considero tutta pregevole ed interessante. E’ un artista da avere e da conoscere.
Il Concerto
La Cosa peggiore del concerto di Moltheni è stato il pubblico.
Non il Suo Pubblico, che l’ha accolto come si accoglie un amico che è stato via per molti mesi e appena tornato ti invita subito a cena per raccontarti di sé. Ma il pubblico in generale.
Non è stata una bella idea fare l’ingresso gratuito, stipando così il popolo di discotecari nelle ultime file, riuscendo solo a creare una spessa coltre di fumo dettata dall’attesa e a rompere quell’atmosfera crepuscolare e intima che dal palco si diffondeva in tutto il locale.
Ma non stiamo troppo a parlare di questo, per non sembrare quelli che si lamentano sempre (ci lamentiamo dei prezzi dei biglietti… e poi anche quand’è gratis…è un po’ troppo!), ma soprattutto perché c’è un gran concerto da raccontare.
La formazione sul palco è minima ed essenziale, batteria di stampo jazz, con cassa piccola e rullante basso, wurlitz sulla sinistra e Umberto a destra, che si alterna tra un’acustica e una 335 Gibson. Il suono che scaturisce è caldo e avvolgente, così rassicurante da far diventare il live una suonata tra amici al quale assistono altri amici.
In effetti, se non fossero per quei 50 cm di altezza del palco, ci si potrebbe ingannare e credere di stare tutti in un grandissimo salotto… i larghi tappeti per terra e il soffuso arancione della abat-jour creano quel senso di domestico che diventa casalingo quando Umberto apre con Il Bowling O Il Sesso. Benvenuto migliore non potevamo chiedere. La perfetta apertura per una serata che vedrà alternarsi brani dal primo album (Flagello e Amore, …), dal secondo Fiducia Nel Nulla migliore (Zenith, Il Bowling…, …), brani dal nuovo Splendore Terrore (Fiori di Carne con cui chiude il set) ed infine brani inediti, che giacciono in un cassetto o in quel Forma Mentis che ancora non ha visto la luce. Tutti rivisitati in una nuova veste acustica, veste che dona molto ad ogni composizione, e stupisce sentire il suono dei tasti bianchi e neri lì dove prima stavano gli overdrive, e le spazzole delicate su quella batteria che si fa presente ma non pressante. Come in un concerto dei Mùm gli strumenti sembrano accendersi e spegnersi delicatamente a ritmo, emergendo ogni tanto dal sound generale con semplici riff e passaggi, mai con drastici cambi di rotta o effetti digitali (Umberto, se non sbaglio, aveva 3 pedali, di cui uno accordatore…)
Il pubblico risponde sempre in maniera educata e calorosa, abbandonandosi ai suoni negli strumentali minimali o alla voce ed i suoni quando i pezzi nuovi lo richiedono. Sempre attenti e concentrati su quei testi che tanto colpiscono nel loro affascinante ermetismo, ammaliati dall’atmosfera crepuscolare, perfettamente sintetizzata dalla proiezione sul telone dietro la band di quella abat-jour e la sua fioca luce che lasciava ad intendere manopole e potenziometri di un amplificatore sotto di sé. Ad intervallare questi attimi i pezzi più famosi, quelli che in un certo senso tutti aspettavamo di sentire di nuovo, e basta un Circuito Affascinante per coinvolgere immediatamente un “Immagino fantastico che immagino” che nasce spontaneo come un’unica voce corale. Un set bilanciato perfettamente che, nonostante alcuni problemi tecnici alla chitarra (e qualche tempo morto un po’ troppo lungo), evidenzia perfettamente la profondità cantautorale di Umberto, le doti di un artista troppo spesso dimenticato la cui dialettica sconfina nella poesia in ogni testo.
Come lui stesso ci ha confidato le date del tour sono poche, e le nuove aggiunte sono sempre incerte… Personalmente vi invito caldamente a controllare il suo web (www.moltheni.it) per le nuove serate confermate, consigliandovi di non perderlo. Sarebbe davvero un gran peccato.