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C’è ancora qualcuno in grado oggi di scrivere pagine importanti di progressive rock? Non molti a mio parere, ma uno di questi è senz’altro Neal Morse, ex leader dei grandissimi (almeno fino a “Day for Night”) Spock’s Beard e co-protagonista del super progetto Transatlantic. Dopo il successo di “Snow” (ultimo disco di Morse con gli Spock’s Beard), Neil conosce un cammino spirituale e religioso che lo allontana dalle scene e in molti –me compreso- abbiamo temuto di aver perso per sempre uno dei maggiori artisti degli anni 90. E invece il sig. Morse torna nel 2003 con il doppio “Testimony”, opera rock dalle proporzioni colossali – oltre 120 minuti di musica distesi su due cd – e con collaborazioni illustri, Mike Portnoy dietro le pelli e una timida ma lussuosa apparizione dell’ex Kansas Kerry Livgren, solo per citarne un paio. La ricetta musicale prevede il solito progressive totale cui Morse ci ha abituato sin dai tempi dei migliori Spock’s Beard, quindi riferimenti che scomodano Genesis e Yes per le caratteristiche strutturali dei brani, Pink Floyd per le soventi escursioni in territori da sogno grazie all’uso di cori femminili da brividi reali, Gentle Giant per eventuali bizzarrie nonché per l’intricatissimo gioco di voci tipico di Morse, il tutto reso incredibilmente organico attraverso la straordinaria sensibilità di Morse, che decide di incentrare le liriche dell’opera sui temi autobiografici che lo hanno caratterizzato di recente. Arduo parlarvi dei singoli brani, trattasi di ben 29 episodi in cui si alternano momenti di grande vitalità ed estro ad altri maggiormente caratterizzati da piacevole gusto onirico, i soliti meravigliosi interludi dal grande fascino che sfociano in squarci di notevole eleganza, il tutto condito dalla passione per il progressive rock. Quel che colpisce maggiormente è l’incredibile freschezza compositiva che non fa assolutamente sentire il notevole peso dell’opera, che ripeto essere di oltre due ore di durata. Un artista ritrovato dunque, che a mio parere già nel tanto osannato “Snow” lasciava intravedere segnali di stanchezza stilistica e leggeri tratti di autocitazione, tornato su livelli di straordinario spessore con questo “Testimony” che fa dimenticare anche le scialbe prove soliste pubblicate mentre era ancora in forza agli Spock’s. Probabilmente il cammino spirituale ha lasciato che si risvegliasse in Morse l’entusiasmo necessario per affrontare una nuova sfida musicale. A mio parere il più bel disco di progressive rock da molti anni a questa parte, senz’altro la più bella prova compositiva di Morse dai tempi di “Day for night”. Impietoso il paragone tra “Testimony” e il contemporaneo disco degli Spock’s Beard di D’Virgilio “Feel Euphoria”, dal quale quest’ultimo esce inevitabilmente con le ossa fracassate. Di fronte alla straordinaria verve di Neal Morse i nuovi Spock’s Beard oppongono patetiche rincorse verso leggere alternative poco consone alla tradizione del gruppo.
Se “Testimony” è la testimonianza che Morse ha voluto dare, possiamo dedurre che il progressive rock è difeso dignitosamente da un artista che a quanto pare ha ancora molto da dire, tant’è che di recente ha addirittura pubblicato un nuovo album. Sulle note di questo straordinario disco vado immediatamente a procurarmelo.