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Il terzo disco è come una resa dei conti, dicono. Ed è così che uno dei gruppi più spocchiosi e con uno dei nomi più lunghi del panorama indie si affaccia a questo nuovo anno, con “Worlds Apart”.
Un lavoro che, sotto il segno di una maturata capacità di scrittura, si distanza con cognizione di causa sia da quel primo, irriverente, “Madonna”, che da quel “Source Tag And Codes” che li portò alla consacrazione davanti alla critica. Il nuovo disco è all’insegna di quel germe “art punk” che si nascondeva tra le graffianti chitarre fugaziane del precedente: preso il seme, fatto crescere, i ..Trail Of Dead danno alle stampe un album dove è grande lo sfarzo musicale (i violini di “Overture”, l’intermezzo valzer di “Russia Is My Homeland”), quasi fosse una sorta di auto declamazione barocca verso la loro proposta; un sound ora teatrale ora epico che risente della lezione dei Fugazi certamente, ma che non disdegna un certo approccio alla Cursive e un’occhiata di troppo al pop.
Com’è vero infatti che “Will You Smile Again From Me” nel suo saliscendi emotivo è di una forza trascinante e che “And The Rest Will Follow”, “The Best” e “City Of Refuge” sono dei piccoli gioielli di songwriting, è anche vero che il resto dell’album sembra orientarsi decisamente verso sonorità per lo più ammiccanti verso l’ascoltatore sprovveduto di turno; ed è spiacevole ammettere che l’intero disco fissa diabolicamente una sorta di pop sporco (“Worlds Apart”, “Let It Dive”, “All White”, l’innocuo “Caterwaul” di fugaziana ispirazione), costringendo il disco tra le quattro pareti di una produzione ridondante dove i pezzi diventano perfetti e innocui singoli televisivi per il canale alternativo di turno.
Un lavoro molto maturo e molto ben fatto, forse troppo; alla lunga i ..Trail Of Dead non riescono mantenere alte le promesse che s’intravedono nel disco. Ne creano certamente di altre, ma questo potrebbe essere anche un vero peccato.