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Ci sono artisti che non cambiano mai, che a distanza di anni sembra siano sempre lì, senza essersi evoluti né aver perso il loro carisma e la loro vena creativa. Un bene? Un male? Ci sarebbe da discutere molto ma se la loro produzione si mantiene tra il 7 e l’8 io direi che “si può stare”. Di questa categoria fa parte il tedesco più romantico del mondo: Maximilian Hecker. Alla terza prova il buon Maximilian non si distacca molto da Rose,che a sua volta non si allontanava dal precedente Infinite Love song. Il disco è intriso di un romanticismo delicato e morbido, con canzoni che accarezzano senza diventare lullabies. Certo, la voce di Maximilian ha quel particolare timbro che ti culla, sembra abbracciarti e avvolgerti, ti chiude lentamente gli occhi… “e ti fa addormentare!” direbbero in molti. Già, è innegabile che se si ascolta il disco in un attimo di stanchezza o eccessivo relax non si arriva neanche a superare il lunghissimo intro del disco di Birch, brano quasi in stile Gonzales/Solo Piano che lentamente cresce come una candela che nel buio acquista forza nella fiamma. Ma quel tono, quella voce che sembra uscire non dal corpo ma dallo spirito con una naturalezza e una tranquillità spiazzante, sussurrata e sottile come quella di Luke Haines, ma allo stesso tempo familiarmente corposa come quella di Damien Rice, mi ha sempre stregato. Rispetto ai precedente lavori si nota una maggiore classicità delle composizioni, l’accompagnamento gioca sempre con arpeggi di chitarra su un bpm che intorno ai 60 / 70, ma stavolta al posto d’elettronica che faceva capolino nei precedenti lavori c’è un maggior utilizzo di violini e archi vari, chitarre con un ebow leggero e un piano più presente. Il cambiamento, così su due piedi, sembra minimo, ma ascoltando Snow o Summer Days in Bloom si capisce la variazione di stile e come pezzi del genere non avrebbero potuto trovare spazio in Rose. Forse il gusto degli album “casalinghi” di quelle composizioni che sembrano nascere proprio tra una tazza di thè e un vecchio vinile hanno colpito molto Maximilian, o forse è rimasto stregato dal soft di Carla Bruni e Keren Ann. Ma saldo al suo stile Hecker si riconferma POP in pieno stile, pop romantico ma sempre pop. E poi che male c’è se un disco come questi finisce in classifica? E’ adorabile perdersi in questi brani! Dying è una supernova al rallentatore e senza volume, la mente vola in spazi aperti, sembrano non esserci più confini o barriere quando si ascolta un disco del genere, un lavoro che nato per essere ascoltato in intimità, nella propria cameretta proprio per riuscire meglio ad evadere, allontanarsi e perdersi. Full Voices, alza più la voce, con quelle chitarre acustiche in bella vista e la batteria che si alterna tra giri di tom nel verso e i piatti nel chorus ricorda il più classico dei cantautorati chitarristici (Damien Rice, Elliot smith, mettete voi un nome a caso…). L’organo di Help me crea un’atmosfera eterea nei suoi chorus e delay tale da ricordare Motion Picture Soundtrack dei Radiohead. Eventually She Goes e invece il classico pezzo del risveglio improvviso: su due piedi sembra non entrarci un cazzo nel lavoro, con quel chorus eccessivo e pesante, carico di chitarre sature di distorsioni che, se non vengono continuamente suonate, si lasciano pure scappare qualche feedback, ma è solo il classico momento di rivalsa sull’abbandono che l’artista ha in ogni disco (ce ne era uno anche su Infinite Love Song, e anche lì si saltava sulla sedia dal cambio di volume repentino!- E soprattutto se ti eri addormentato a Birch non è una bella cosa…). Da segnalare infine il delizioso giro di piano della ghost track, un ricamo gioioso su quel che sembra essere un giro di organo mandato al contrario. Uno dei pezzi più particolari e forse il momento “tecnicamente” più interessante del disco per la composizione e il cambio di accordi, peccato trovi spazio solo all’ultima traccia, per la precisione dopo 4 minuti di silenzio. Ma quanto sono odiose queste ghost track? L’unica domanda che a fine ascolto sorge puntualmente e a cui ancora nessuno sa darsi risposta è questa dannata ossessione verso la morte… pezzi dal titolo Dying, o Everything inside me is ill…. Si capisce dai dischi che Maximilian Hecker vive la morte come liberazione, come passaggio verso un qualcosa di indefinito ma certamente migliore. E’ un po’ come nei vecchi film quando il protagonista muore, va verso la luce bianca e viene assorbito da essa. Non si capisce mai bene cosa trovi al di là ma si intuisce che sta meglio. Ecco… La maggior parte delle composizioni di Hecker sembrano essere la colonna sonora per questo attimo, il soundtrack perfetto per il momento del passaggio. E poi nella copertina di Infinite love song c’era un cadavere a terra, in quella di rose (nel booklet) c’era lo stesso Hecker cadavere a terra e qui ci guarda con quell’effetto zombie, con quello sguardo vuoto e ghiacciato ma con quella faccia da ragazzo fragile sempre un po’ sulle sue, perennemente riflessivo, solitario e malinconico e terribilmente, irrimediabilmente romantico e fascinoso. Ci sarebbe da dire “Vai Hecker continua così!” ma se non si svaga un po’ il ragazzo rischia il suicidio!