Assistere, a sei anni dall’ultima esibizione a Roma e cinque dallo scioglimento, ad un concerto dei dEUS ha lo stesso effetto di un viaggio nel tempo. Certo, i personaggi che il pubblico si è trovato davanti sei anni fa non sono gli stessi (nel frattempo della vecchia line-up sono rimasti solo Tom Barman e Jan Klaaszoons), ma le canzoni sono lì, a ricordare a tutti che i dEUS nel tempo sono stati la migliore incarnazione del termine crossover: un incrocio di stili che ha caratterizzato sempre il gruppo belga, in perenne bilico tra l’istituzionalizzazione pop americana e il cantautorato europeo imbastito di volta in volta di ogni genialità possibile e immaginabile. Concerto aperto con Pocket Revolution; l’inizio forse non è dei migliori e i pezzi del nuovo disco, in generale, non hanno lo stesso appeal dei vecchi. Discorso nostalgico direte voi, o forse scelta di iniziare e mandare avanti un concerto in qualche modo più soft, rimane il fatto che la potenza espressiva sprigionata per i primi tre pezzi si mantiene su livelli bassi e costanti, con l’unico merito di mostrare un gruppo che sembra venuto da un altro mondo. Improbabile però tenere a fermo l’essenza dEUS, e in poco più di dieci minuti si alternano passato e presente del gruppo, trasformando di punto in bianco un’atmosfera languida in un delirio di gruppo: chiaramente il pubblico impazzisce solo a sentire gli attacchi di pezzi come Worst Case Scenario, Morticiachair, Ideal Crash, mentre l’intero set diventa addirittura.. ballabile, con versioni simil funk di Start Stop Nature e If You Don’t Get What You Want e What We Talk About. Nella serata di registrano tre eventi-picco: primo tra tutti, durante l’esibizione di una Roses stellare, Barman placa l’entusiasmo della folla impegnata a battere mani, chiarendo che non “è tempo di battere le mani”, tenendo a sottolineare l’intensità di un pezzo non di certo all’acqua di rose; secondo, la dedica a Mark Sandman, il leader dei Morphine morto a Palestrina durante un concerto con Nightshopping; terzo, il picco assoluto della serata, una dilatatissima Suds & Soda, aspettata dall’intero locale, e cantata a squarciagola da tutti, fino ad arrivare a sovrastare ogni voce e coro, delirio totale. In tutto questo Tom Barman delira totalmente e progressivamente sui due microfoni e sulla chitarra, il resto del gruppo lo segue a ruota, e sembra quasi di poter dividere singolarmente gli strumentisti e guardarli fare un concerto in proprio per poi ricongiungere la musica. La scaletta poi ha quasi dell’incredibile, almeno per chi si aspettava una promozione tout-cort dell’ultimo lavoro (come è successo in altre date), andando a pescare quasi tutti i classici di In A Bar Under The Sea e molti pezzi dal loro primo Worst Case Scenario, soprattutto quando ci si trova davanti ad una Hotellounge che in pochi minuti riesce a ricordarci come hanno fatto i dEUS a superare di gran lunga le prime intuizioni di Pixies. In definitiva, se sei anni sembrano davvero troppi per rivedere un gruppo di tali proporzioni, il concerto di Roma sembra aver in parte soddisfatto la grande attesa. E dopotutto c’è ancora gente che teorizza sul post-qualcosa..