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Vorrebbero farci credere di trovarsi davanti alla nuova world music, come se Eugene Hutz fosse il Bregovic del 2005, arrivando a paragoni perfino con Emir Kusturica là dove si vorrebbe una musica dell’est europa suonata con una cognizione di causa tale da tirare in ballo addirittura una cultura intera e riferimenti abbastanza ingrombanti e scomodi. Certo, il disco rimane fedele al titolo, se gypsy deve essere allora diamo il via alla giostra di violini tzigani, fisarmoniche klezmer, lingua ucraina e tutto ciò che ne consegue, Bregovic della situazione annessi; il fatto è che se basta un ritmo in levare e qualche melodia che strizza l’occhio alla Slovenia e ai Clash per non far notare che ci troviamo davanti, in pratica, al clone degli Ska-p versione zingara pronto per il classico tour de force alternativo per il centro sociale di turno – non manca neanche il riferimento trasgressivo italico, con tanto di bestemmia assortita nel testo – e di conseguenza gridare ad un miracolo che sembra sempre di più un’eresia, allora tanto di cappello perché i Gogol Bordello col terzo disco sono riusciti a pigliare tutti per il culo, critica prima e pubblico poi. Perfino Steve Albini che li produce.