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Forse il disco che ho più atteso fino ad oggi. Si può dire che con i Novembre ho cominciato a sentire e vivere la musica, si capisce che dopo quattro anni di silenzio la voglia di mettere le mani sopra il tanto chiacchierato e promesso ‘Materia’ era veramente alle stelle. Non ho avuto il coraggio neanche di scaricarlo in anticipo, ho atteso con fiducia che arrivasse sullo scaffale e poi l’ho religiosamente scartato a casa preparandomi a sentirlo con una ciotola di fragole zucchero&limone a fianco e le finestre aperte, che ‘sti giorni fa un tremendo caldo afoso. Il clima non è decisamente conciliante per questo disco, diciamocelo.
Materia. Titoli in italiano, buona parte dei testi idem, scelta coraggiosissima e da lodare fino al 2042, tra l’altro Carmelo Orlando ha la straordinaria capacità di mettere insieme parole apparentemente vuote, casuali, sconnesse, dipingendo invece quadri eterei e malinconici. E in questa uscita, dove di parti vocali in scream non c’è quasi ombra e le clean vocals la fanno da padrone, echeggia continuamente una certa impronta “cantautorale”, forse grazie anche alla durata abbastanza canonica dei pezzi e alla dichiarata ispirazione alla musica tradizionale italiana, oltre che a certe progressioni tipiche della musica classica.
Artwork molto bello, booklet essenziale, il viaggio parte con “Verne”, forse un pezzo d’apertura non troppo azzeccato e non immediatissimo, in cui spicca però un imprevisto inserto di cantato femminile. Forse ci sarebbe stata meglio “Memoria Stoica / Vetro”, che con uno stile riconoscibilissimo mira dritta al cuore: sono sicuro che il testo di questa canzone diventerà una delle citazioni preferite del metallaro romantico medio. Che poi, di metal, in questo disco alla fine non c’è molto, e del death metal che influenzava i precedenti lavori qui ne resta ben poco, diluito e ammorbidito. Stupenda “Aquamarine”, che echeggiando continuamente certe aperture di quel capolavoro chiamato “Everasia” potrebbe addirittura rispondere al titolo di “Everasia Pt II”; sempre impeccabili Massimiliano Pagliuso alla chitarra, con un gusto particolare e mai autoindulgente, e Giuseppe Orlando, stavolta meno impegnato a pestare duro ma indubbiamente un batterista di gran classe.
Altro gran pezzo è “Geppetto”, tutto in italiano, per niente prevedibile, con dei crescendo mozzafiato e malinconia a secchiate; improvviso stacco di violenza che ci riporta ai vecchi fasti, con “Comedia”, e dopo la cover degli Arcadia “The Promise” (come al solito ottimamente rivisitata) si chiude in bellezza con due outtakes di Novembrine Waltz, sperando che il loro inserimento nella tracklist sia un’operazione sentita e non un voler tappare un vuoto di contenuti; “Nothijngrad” ci sta tutta, comunque.
No, ecco, non mi metto a urlare “capolavoro capolavoro”, non mi strappo i capelli piangendo perché non siamo a quei livelli. E’ un disco strano, tutto sommato, per i Novembre, un disco molto emozionale e rilassato (per i loro standard), che incorpora in qualche modo anche influenze di loro “figli” come i concittadini Klimt 1918 (le chitarre di “Jules”? Un qualcosa nelle linee vocali di “Reason”?), che ricerca una forma canzone più tradizionale pur mantenendo un marchio di fabbrica riconoscibilissimo sin dalla prime due note. Vi sfido ad ascoltare i primi due arpeggi di “Memoria Stoica” senza che vi spunti un sorriso pensando “eh, son proprio i Novembre…” No, ecco, non mi metto a urlare “capolavoro capolavoro” perché c’è meno varietà di Novembrine Waltz, perché manca lo scream che è innegabilmente una delle componenti fondamentali del loro sound, perché a volte certe armonie sembrano un po’ troppo di maniera, ma alla fine mi accorgo che scrivere recensioni ti rende a volte troppo critico e rompiscatole, proprio ora sta finendo “Geppetto” e, nonostante tutto, sono due settimane che il disco lo sento almeno una volta al giorno. E allora tutti a bordo della cara vecchia Maria, è molto che non voliamo…