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Nonzeta è una band orvietana che dopo un disco d’esordio abrasivo come dio comanda e vicino al core dei Linea 77, ma anche ricchissimo di idee personali, ci propone un secondo lavoro il cui emblema sembra essere il punto interrogativo e una strana voglia di guardare al passato.
Il feeling generale è quello di un disco molto “novantiano”. Per fare un esempio che dia la cifra della questione, le chitarre e le soluzioni vocali di Come Sparire ricordano più da vicino quelle dei primi Smashing Pumpkins che non altro, e riescono a ricomporre anche vecchi fantasmi Scisma, che ritornano con un sapore cangiante che ti balena al cervello anche in Farne un fuoco.
I suoni sono buoni, saturi a dovere sulle frequenze basse, ma questa volta un po’ troppo morbidini e dolci sulle chitarre. Ho la netta impressione che la scelta della produzione sia in effetti tesa ad evidenziare (anziché nascondere) il mood anni novanta del lavoro, optando insomma per un suono caldo, che tra l’altro riesce solo manieratamente sporco, laddove altre produzioni più modaiole avrebbero scelto un muro di granito algido e plastificato. E a questo punto non è poi così fuori luogo chiedersi quanto questa scelta si traduca in pratica in un effettivo giovamento per un gruppo che ambisce comunque ad imporsi su un terreno vicino al metal.
E dato che si parla di anni novanta, procedendo nell’ascolto diventa addirittura difficile parlare di crossover: l’intro strumentale di Neanche Una Nuvola riporta alla mente Plush degli Stone Temple Pilots, la title track Ogni Partenza è un post-grunge pop piuttosto acidulo, Ninnananna è una ballata dei Pearl Jam di fine carriera che poi riscopre una coda dei Marlene Kuntz (all’altezza de il Vile) appena dopo il bridge di War Pigs dei Sabbath. E poi si riparte con un mazzetto di brani a chiudere il disco allo stesso modo in cui si è aperto, sotto il segno di un crossover che non morde più di tanto. Tra questi ultimi episodi si segnala Scale Senza Scampo la più faithnomorriana (parlando con rispetto) di tutte.
Ultima nota sui testi in italiano che a volte appesantiscono pretenziosamente i brani con un’eccessiva letterarietà, cosa che invece non accadeva all’altezza del lavoro d’esordio. Indubbiamente Gabriele Martelloni, microfono e penna dei Nonzeta, si rivela spesso molto bravo nel fare i conti con la svolta stilistica intrapresa, ma risulta inevitabilmente più credibile e personale ogni volta che ritorna su soluzioni care ai Linea 77 (Della Mia Fortuna) invece che scimmiottare Godano (L’immemore). Resta insomma da chiedersi se il gioco valga davvero la candela, soprattutto quando la proposta del lavoro precedente sembrava totalmente messa a fuoco e centrata.
Insomma che Orvieto o Perugia non siano Los Angeles lo si sa, e probabilmente quello che ci vogliono dire oggi i Nonzeta è proprio questo, ma sembrano rimasti a metà, in bilico su un terreno poco solido. Meglio guardare al lavoro precedente – l’interessantissimo e fresco “Quello che conta” – e da lì ricominciare.