Stooges – The Weirdness

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Lasciate che vi faccia un inutile ed inesaustivo riassunto di quella che, grossomodo, è stata la storia del punk rock dagli Stooges ad oggi: nato in America, più o meno attorno a New York il punk è passato per Londra, poi per la California, ha contribuito alla nascita di un popo’ di (sotto)generi – postpunk, hardcore, noise, oi!, grunge – e poi se n’è andato godersi la sua bella vacanzina, contornato da ragazzette urlanti e tanti soldoni, alla faccia delle logiche anticommerciali, sociali, politiche e quant’altro. E oggi, questo stesso oggi in cui tanto ci farebbe comodo un nuovo ‘Fun House’ – e chissenefrega se è revivalista, passatista, nostalgico, aridatece il rumore vero!- anche il vecchio Iguana e i suoi insospettabili Scagnozzi svoltano verso la fabbrica di plastica.
Colpa dell’ultimo disco di Iggy, dove il vecchio (poco) saggio, con la scusa del meritato riconoscimento da parte dei pronipoti, era in realtà andato a lezione dai vari Green Day, Sum 41 etcetera: su quegli stessi solchi si erano anche riuniti i vecchi compagni di merenda, con i fratelli Ashleton pronti ad un nuovo tour a nome Stooges.
Per loro stessa natura i nofuturisti di settatasette e dintorni non si erano mai posti il problema, ma ora che la questione “punk geriatrico” è più che mai all’ordine del giorno, occorre pensare –ebbene sì- a rinnovarsi. O per lo meno a sincronizzarsi! E allora vai di corporate sound, punk for fun, clichè da College che tanto il rock’n’roll è solo più faccenda da bambine che giocano a fare le ribelli… scampoli di un luminoso passato riaffiorano qua e là, con qualche cameo del famoso sax o con Iggy impegnato nella sua adorabile parodia del crooning, di bowiana memoria. Per il resto rimane soltanto da chiedersi se sia più “punk” andarsene in giro a graffiarsi la faccia e sputacchiare sangue a vent’anni, o fare altrettanto con il toupè in testa ed un femore barcollante.