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Si può essere melodici, o meglio, orecchiabili senza cantare le proprie canzoni? Senza nemmeno averlo, un cantante? Nel loro piccolo, i King Suffy Generator da Domodossola cercano di rispondere positivamente a queste domande e, già che ci sono, di buttar giù un altro paio di luoghi comuni che ristagnano sul nome del progressive rock. Sono giovani, ma della vecchia scuola: lo si vede dall’esplicito duplice riferimento nel nome, dal loro immaginario colorato e tutto sixties e dalla confezione “a tasche” del loro cd, che ne fa degli irriducibili Zappiani in tempi di minimalismo digitale. Lo si sente dalla musica: i ragazzi sanno suonare, il che è cosa rara, ma non ce lo fanno pesare affatto. E l’ascendenza dal progressive è un concetto che continua a funzionare solo se si considera il suo aspetto più stimolante, avventuroso e, Dio li perdoni, divertente. Le durate dei pezzi superano i tempi radiofonici nell’unico caso di “Back to Honolulu”, e la rivisitazione del tema ultranoto di Peter Gunn mette ulteriormente in chiaro le cose: questa è materia progressiva trattata con un’indole alternativa, in certi casi quasi pop. E allora non stupirà che, in un Ep intitolato “PsychoSurf” compaiano anche influenze e rimandi meno intellettualistici: il surf, ovviamente, ma anche i suoi antenati. Lo skiffle e la musica di The Shadows, il rock strumentale e le note “tenute” che un giorno furono alla cima delle classifiche inglesi… una sorte che oggi i complessi strumentali non riescono neanche a sperare, ma che alla luce di questo disco, sembra già un po’ meno “da altro mondo”.