Jon Spencer arriva anche in Italia col suo nuovo progetto: accantonati per un attimo i Blues Explosion, ora si diverte con l’amico Matt Verta-Ray, l’altro titolare del progetto, a riesumare i fasti di quel genere radicato nella tradizione degli stati sudisti, quel misto di country, bluegrass, roots, folk, un po’ di rock’n’roll delle origini e così via. E già sento puzza di bruciato, ma decido di andare lo stesso al MusicDrome, se non altro perché ben conosco le performance del buon Mister Spencer from New York City.
La serata viene aperta dai Sadies, gruppo canadese (di Toronto per l’esattezza) che si cala perfettamente nell’atmosfera della serata, riscaldando con brio il numeroso (chi l’avrebbe detto?) pubblico. Tecnicamente più che validi, intriganti negli arrangiamenti, riescono a non annoiare soprattutto il sottoscritto che, ammettiamolo, non è un amante del genere. Però sono bravi e lo dimostrano ancora di più sostenendo il duo principale durante la loro esibizione. Sì perché Spencer e Verta-Ray non avrebbero così fatto bella figura senza i Sadies a fare da backing band (e a reggere la baracca lì dietro).
Ma veniamo ai nostri due.
Jon Spencer sale sul palco vestivo a modo: sembra sia appena arrivato da un rodeo di periferia (una periferia di un oscuro staterello del sud degli States ovviamente) in cui ha domato almeno tre cavalli di razza e non. Chitarrina al collo quale novello marriachi e sguardo da figo come suo solito. Il compare Matt Verta-Ray invece opta per un look da comparsata nelle riprese di “Quei bravi ragazzi” di Scorsese.
Ma non fermiamoci alla apparenze, anche se…
Musicalmente non c’è molto da dire: dal lato strettamente compositivo la “tradizione” si fa sentire e i giri blues sono quelli sentiti più e più volte in anni e anni di musica tanto che spesso mi chiedo se sto ascoltando un loro pezzo o una cover. Forse ho sentito anche “Summertime blues di Eddie Cochran, la strofa era la stessa, giuro! Insomma, il deja vù è sempre dietro l’angolo. Ma a rendere strabiliante la serata (comunque piacevole) ci pensa in buon vecchio Jon: pieno di tanti (troppi!) cliché, di mossette già viste e di ironia (si prendeva gioco di se stesso? Forse), ma soprattutto di verve, fascino, sudore (tantissimo) e personalità trasforma il concerto degli Heavy Trash in una sua esibizione solista in cui da sfogo a tutti i suoi gemiti, ai suoi “yeah”, i suoi “babe” e (in misura stranamente minore) agli “bluuuuuues” e/o “rock’n’roooooooouuulllll” mentre limona col microfono e lancia occhiate al pubblico tendendo il braccio e non risparmiandosi un minuto. E, non sto scherzando, è stato più che coinvolgente.
Volevo un gran spettacolo, l’ho avuto.
Le foto sono di Viridian