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Chinaski, da abile comunicatore qual’è, ha definito quest’ultimo lavoro della sua band come il disco più pop mai prodotto dai Linea 77. Non fosse che poi quando lo metti nel lettore ti assale come una fortezza di granito, bombarda a tappeto, ed issa stendardi neri come la pece. E vabbè, si dirà, merito di Toby Wright che per aver lavorato con Slayer, Alice in Chains e Korn (giusto per citarne alcuni) è abituato ad andarci con la mano pesante sul mixer. Ma poi ti guardi nello specchio e ti dici che questo in effetti è il suono che avevi sempre sognato per i Linea, e che magari avevi solo osato cercare disperatamente smanettando sull’equalizzatore, per far uscire al meglio dallo stereo i tuoi singoli preferiti. In breve: i Linea non hanno mai suonato così pieni, e avrebbero sempre dovuto suonare così.
C’è anche da dire che la band dimostra una crescita tecnica esponenziale rispetto ai primi tre lavori, e che in questo contesto trova la cornice ideale per esprimersi, e per perdere definitivamente quella patina “italiana” che un lavoro non troppo a fuoco come il precedente aveva solo tentato di tirar via, perdendosi per strada.
E quindi ci troviamo alla concomitanza di due fattori: questo è il disco del rilancio oltreoceano della band, è il disco meglio prodotto in assoluto, è il disco uscito per una major, ma è anche quello che solitamente viene definito come “il disco della maturità” di una band, per efficacia a livello tecnico-compositivo, per messa a fuoco delle idee e compattezza di intenti.
Ma curiosamente è anche il disco che contiene più brani in italiano, di cui uno addirittura (e ancora più curiosamente) che vede la partecipazione di Tiziano Ferro. E quindi tutti con i fucili puntati, I presume. E quando Tiziano Ferro, detentore attuale dello scettro del bel canto all’italiana, intona – con una voce a dire il vero mai stata così funerea – linee quali “solo rabbia da estinguere, senti che rompi tutto ciò che hai intorno, ma senza urto” ci proietta ineluttabilmente in una dimensione parallela, in un’immagine straniata, stralunata e fumante di un’Italia capovolta e vestita in nero, funzionando appunto davvero come dirompente elemento iconico di questo capovolgimento, e non come vuoto pretesto per un’ospitata. E allora scopri che sono proprio i Linea ad averti sparato in faccia, con massimo sprezzo, la possibilità di vincere una scommessa impossibile, e di trasformare Tiziano Ferro in un black bloc (David Lynch in un suo film lo farebbe). Chissà che non sia per questo che Tiziano Ferro non è a Sanremo quest’anno. Ed è proprio il nostro paese asfissiato, quieto e pesante, deragliato e senza scampo che costituisce lo sfondo di questo lavoro, che arde ancora e forse più di una volta di una voglia dirompente di critica e di un sentire hardcore. E che ribadisce una volta ancora la sincerità d’intenti di una band che disco dopo disco sembra farsi sempre più capace a sparare a mitraglia parole pesanti e dirette, semplici e vere, e di non perdere mai quella sacrosanta livida rabbia.
E così se il concetto di pop di Chinaski, a fine analisi, significa concentrare l’attenzione dei Linea 77 su mitragliate di riff accattivanti e più che mai true metal, di aperture melodiche epiche ed efficaci e di realizzare di fatto una sequenza di anthem di notevole potenza ed impatto emotivo, beh ben venga il pop allora. Ma se siete dei fan di Tiziano Ferro tenetevene lontani, vi prego. Ultima nota: in punta di disco troviamo un vero regalo per i fan di lungo corso: la versione 2.0 di Touch, uno dei primi singoli della band torinese. Chissà che i Linea non stiano pensando di risuonare negli studi losangelini tutti i brani del loro folgorante disco di esordio? Grasso che cola, ragazzi. Secondo me, promossi a pieni voti.