The Killers: Siamo uomini, o caporali?

Due più due non fa sempre quattro. E i Killers si fanno produrre il loro terzo album da uno dei re del recupero synthpop dei giorni nostri, Stuart Price, già collaboratore all’altezza di Sawdust e autore di alcuni remix delle loro hit singles, tra cui quello efficacissimo di Mr. Brightside, bonus-track dello stesso album. Sembrerebbe sulla carta un sodalizio da sogno. Chi meglio di lui? E il disco invece viene fuori invadente, appiccicoso come una mela caramellata, estenuatamente gay, stucchevole e in certe situazioni quasi imbarazzante. Le canzoni sono poche, dieci, epperò, tirate le somme, la qualità del songwriting è sempre alta: sono i Killers dopotutto. Quello che spiazza al primo ascolto è che, a differenza dei dischi precedenti, si vada qui a coprire la melodia con altra melodia, laddove Alan Moulder & Flood avevano fatto scorrere la polvere del deserto, il gotico americano, la pasta delle chitarre (in una delle migliori intuizioni musicali, dal punto di vista della produzione, dei nostri giorni).

Si tratta di gusti personali a quanto pare, e a ben vedere dal volume del pubblico accorso in questa serata milanese al Forum di Assago, in molti devono aver apprezzato la correzione di rotta della band di Las Vegas. È fin da subito chiaro a tutti, Killers compresi, che almeno un terzo del pubblico sia lì solo ed esclusivamente per ballare ed ascoltare le note dell’ultimo singolo, Human. E te lo danno subito, in punta di setlist. I Killers a questa altezza appaiono a tutti gli effetti come un gruppo che sa farti divertire, un juke box umano pronto a suonarti uno dopo l’altro i tuoi brani preferiti, a farti ballare, a farti cantare, a farti emozionare e riflettere, tutto nella stessa serata, al prezzo dello stesso biglietto. Tutto sommato, niente male. Ma quello che più stupisce è dover constatare che i brani tratti dal nuovo Day & Age vantino una veste live davvero convincente, tanto che in alcuni passaggi dai brani dell’ultim’ora ai vecchi cavalli di battaglia può succedere che il pubblico si ammosci un po’, e la band di conseguenza. E’ qualcosa di quasi impercettibile, ma talmente strana che Brandon Flowers in una di queste occasioni arriva addirittura a chiedere “Va tutto bene no?”, evidentemente incredulo che un singolo o una ballata tratti dall’ultimo lavoro facciano muovere più culi dei tormentoni-simbolo della sua band. E’ un dato di fatto che sfido a confutare: 'Day & Age' “funziona” terribilmente bene in sede live, pure troppo, e persino con un brano come This Is Your Life, a cui dal vivo non avrei dato una lira.
L’avessi scritto io un terzo disco così ne sarei fiero. Intanto, per chi come me si fosse mai chiesto, per curiosità, chi cavolo fosse il pubblico dei Killers, dirò che si tratta di qualcosa di estremamente trasversale, per idee, interessi, età e sesso: teenager ubriachi e fumati che svengono per il caldo, ragazzine (senza genitori però) che si sono disegnate i baffetti del frontman (mentre il frontman se li è fortunatamente tirati via) e poi universitari, barbette e indie-chicks da fanzine, gente glamour, ma anche gente comune, coppiette, trentenni, insomma gente della più varia estrazione, ma nessuno che andrebbe ad un concerto di Ligabue. E non c’è nemmeno Simona Ventura. A me però mi danno del lei. Ma riprendiamo il discorso. I Can’t Stay, che, lo devo ammettere, era la mia canzone universalmente skippata dell’album funziona maledettamente bene, e diventa a tutt’oggi uno dei miei brani preferiti dell’intero lavoro, segue una Joy Ride in piena forma: energetica e divertente come ce la si dovrebbe aspettare. E da qui in poi tutto va a gonfie vele, l’atmosfera diventa incandescente e piena di elettricità: una Confession Of A King ben riuscita, che riscatta 'Sam’s Town' dal ruolo marginale che gli era stato riservato e fa crollare il baluardo alzato da Human, poi l’omaggio ai Joy Division (Shadowplay) seguito ovviamente da una Tranquillize che anche senza Lou Reed funziona alla grande. La vera festa comincia dopo, con una Spaceman da urlo, che dal vivo dimostra di essere l’inno perfetto che è, e che per intensità verrà superata solamente dalla magistrale interpretazione di When You Were Young, sentita e a denti serrati, con la quale si chiuderà l’elenco dei bis e in questo modo, magnificamente, lo show.
Non mi dilungo con un track by track tedioso, che potrebbe anche essere inutile. Mi limiterò a dire che A Dustland Fairytale si è rivelata uno dei momenti più alti dello show, Sam’s Town nella versione “Abbey Road” un gran bel regalo, Read My Mind uno dei pezzi di lungo corso più “cantati” dal pubblico, Mr. Brightside un’altra grande celebrazione, ed All These Things That I’Ve Done un qualche migliaio di persone che cantano insieme “I’ve got soul/ but i’m not a soldier”. Emozioni a fiumi. Ci sono anche i fuochi artificiali a fine concerto, per quanto un palazzetto possa contenere, con esplosione di migliaia di coriandoli bianchi sul pubblico. Sostanza e forma, il pane e le rose, esattamente come doveva essere. Ed una band che si avvia a diventare davvero grande, con tutti i pregi ed i difetti che questa cosa possa comportare. Peccato che siano mancati al novero brani come This River Is Wild o Leave The Bourbon On The Shelf, ma non si può avere tutto. E alla fine me ne vado con una convinzione: per apprezzare l’ultimo album dei Killers lo dovete sparare ad alto volume, perché un album tamarro va ascoltato ad un volume al limite del buon gusto. Così è, se vi volete divertire, altrimenti ciccia.

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