Democrazia # 7 – Anubi – EtB – Mannapò

Gli italiani suonano meglio degli inglesi. E allo stesso tempo, peggio. Come è possibile? Adesso ve lo spiego: gli inglesi mettono su una band (magari senza aver mai messo mano ad uno strumento, ma solo perchè si sentono arty) e nel giro di pochi mesi riescono a registrare un demo dal produttore dei Talking Heads, riescono ad avere le aperture ai concerti dei big e poi magari partono per il tour europeo. Mi capita spesso, quando vado nei locali a sentire il nuovo fenomeno albionico, che l’italianissima band di spalla a livello di tecnica gli caghi letteralmente in testa. Questo perchè gli emergenti italiani (N.B. parlo di quelli NON paraculati) hanno fatto l’addestramento nella tana delle tigri: passano anni a suonare su palchi disastrati e mentre gli inglesi ancora stavano cercando di farsi dare le birre sottobanco perchè 14enni, gli italiani già stavano incidendo il primo album, spendendoci i loro risparmi e rimanendo essenzialmente ignorati dal pubblico. Mentre l’inglese arriva bello fresco e ci invade musicalmente, l’italiano manda giù rospi, lo sa benissimo che sta facendo da spalla a degli scarsi con i pantaloni taglia 0 e diventa acido, diventa serioso, l’italiano inizia a prendersi sul serio. Ed ecco cosa gli rovina la performance: il prendersi sul serio, troppo sul serio, l’italiano si irrigidisce e sopra e sotto il palco diventa isterico. Insomma come dargli torto. Eppure una via d’uscita c’è. Non chiedetela a me però, in questi casi bisogna solo aver fede.

Partiamo quindi con una band che appunto non si prende proprio sul serio: gli Anubi di Milano, nati per gioco nel 2006, fanno musica per gioco, hanno inciso (chevelodicoaffà) questo primo album dal titolo Epic Fail, che per me è invece un total win. Dio “Anubi”! Un album sullo stile dell’indie americano anni ’90 a tratti noise pop – I don’t care potrebbe ricordare un grande successo dei Filter – ma mi sembra di sentire sia influenze dai Pavement che influenze dai Foo Fighters (Feel Alright su tutte). Mr. C è un brano registrato così, rozzo, voce e chitarra a microfono aperto, è un gioiellino che fa trasparire bene l’attitudine giocosa e schietta e verace della band, un gruppo fighetto&serioso ne avrebbe fatto una registrazione super prodotta da stracciamento di palle, qui ne viene messa in luce invece la semplicità e va benissimo così. Tell me invece mi spiazza un pò come brano, dall’intro si capisce invece che è puro stile Oasis e cozza con lo stile dei brani precedenti ma soprattutto non lega con lo stile di produzione lo-fi per necessità, che è azzeccato negli episodi precedenti ma per fare le cose stile Oasis non ci stanno cazzi, ci vogliono i soldi. Nella seconda parte dell’album si trovano brani funzionali al sound della band ma i pezzi migliori sono già stati citati, anche se l’outro stumentale di May 9 e la traccia nascosta sono notevoli.

Gli EtB di Vercelli invece citano la falsa riga dei Joy Division per il titolo del loro Ep Money Will Tear Us Apart, ma musicalmente siamo in tutt’altri lidi: System of a Down, Mars Volta, Deftones. Suonano in tre ma è come se sul palco fossero almeno in cinque, e non saprei dire quale dei tre fra chitarra, basso e batteria riesca a trovare le soluzioni più interessanti, questo perchè a livello di composizione sono una band coesa con tutte parti importanti all’interno dei brani, precisi negli innumerevoli obbligati, puliti e taglienti come lame, il brano migliore fra i cinque che compongono il cd è This violoncello must destroy your politricks idea of nothing brano con belle soprese, fra cui il cantato in italiano e una variazione free jazz all’interno, veramente particolare. Che dire, continuate così, anzi sono curioso di vedervi dal vivo un giorno.

Ultimo della giornata è Hurtle Ep di Mannapò, al secolo Gianluca Peretti, che guida alla chitarra la sua band in un rock dai confini poco definiti e da infine contaminazioni. Mi è già capitato in un Democrazia precedente, quando ricevo questi lavori che in fin dei conti sono registrati in maniera impeccabile da gente che sa pure suonare bene, rimango sempre un pò interdetto dalla scelte degli arrangiamenti che mischiano così tanti generi, senza un vero e proprio perchè a parte uno strano modo di concepire una certa contestualizzazione sonora non legata poi a nulla, men che meno alla personalità della band. Perchè In Bluette parte con un intro stile synth pop per poi riversarsi in un assolo di chitarra classic rock per poi far partire una strofa che sembra presa da un brano dei Savage Garden? Una risposta te la dai andando a leggere le influenze snocciolate sul sito: King Crimson, Radiohead, Pearl Jam, Bjork e Manu Chao (!!!). Dai cazzo, nel mondo reale non esistono band così!!!  Mi spiace dover dire queste cose a musicisti che credo presi uno per uno siano validissimi, ma un progetto così è più discutibile degli album solisti di Poggipollini. Il mio consiglio è sempre quello di trovare la propria strada e bruciare il synth che produce tutti questi effetti così lame. Non mi dispiace invece dire che la performance vocale è carente rispetto al resto (voce che sfiata, pronuncia discutibile, cattiva interpretazione).