In ricordo di Re Salomone

Solo a pochi grandissimi che superano la settantina è dato lasciarci senza  aver dato fondo alle proprie riserve artistiche. Per quel che riguarda gli ultimi anni, i soli nomi a venirci in mente sono Johnny CashSolomon Burke, morto questo 10 ottobre 2010 all’aeroporto di Schiphol di Amsterdam. Intendiamoci, proprio come il Man in Black, anche il Big Black Man ha conosciuto alti e bassi lungo il suo percorso pluridecennale. Da qualche tempo, però, era in vena di alti:  nel 2002, per Don’t Give Up on Me e tre anni più tardi per Make Do with What You Got Bob Dylan, Tom Waits, Elvis Costello, Van Morrison e diversi altri si erano messi in coda come i re magi per portare le proprie composizioni in dote al Re. Quelle raccolte, assieme al più recente Nothing is Impossible (2010), poteva far sì che il reverendo non passasse alla storia soltanto come “quello di Everybody Needs Somebody” , che è per l’appunto il modo in cui lo stanno ricordando i giornali.
D’altro canto, quando si esce dal seminato musicale per mirare al personaggio, può valere veramente tutto con un tipo come lui. Vale ricordarlo così come lo vedete qua sopra, con i suoi regali duecento chili (probabili responsabili della scomparsa) adagiati su un trono e una corte di servitori al seguito – fra i quali spicca l’insostituibile addetto allo sfregamento della pelata. Vale rispolverare le note discendenze da famiglia religiosa e la professione di predicatore e cantante gospel, di cui Everybody needs somebody to love è peraltro un’efficace profanazione, come tante se ne trovano nella storia del R’n’B. Vale controbattere con il lato pruriginoso di Sua Maestà, elencando per l’ennesima volta le cifre della sua vita privata: 20 figli, 90 nipoti, 5 matrimoni e Dio solo saprà farsi dire quante amanti. Vale rispolverare la curiosa storiella di quando, in uno dei periodi di “bassa”, preferì assicurarsi il futuro acquistando un’impresa di pompe funebri – da cui, parrebbe,  mutuerà il guardaroba per i suoi spettacoli. Tutto vale perchè tutto diventa perfettamente coerente di fronte a un percorso che, tra sacro e profano, amore e morte, ha sempre saputo trovare il Soul, l’Anima. Guardiamolo predicare quassù un’ultima volta e poi, tutti insieme, cry to him


Leggi le recensioni dall’archivio di Rocklab:
Solomon Burke – Don’t Give Up on Me, 2002 di Marco Redaelli
Solomon Burke – Make do With What You Got, 2005 di Marco Redaelli