Attitudine e Visuals: un telone cinematografico issato sul retropalco dell’Alcatraz fa da sfondo a questo magnifico concerto. Su di esso verranno proiettate in tempo reale le immagini della performance, catturate sul palco dalle telecamere e sovrapposte a effetti video e a immagini tematizzate: una versione più povera e indie di quello che vedi comparire al concerto degli U2 o dei Muse sui megaschermi a led. Il palco è scarno, ma l’effetto è comunque di grande impatto e partecipazione. Ottima scelta.
Peraltro i The National sono sempre i dottorandi barbuti che ti aspetti, con il sig. Berninger in impeccabile blazer nero e la sua barbuta faccia da psicoterapeuta in decadenza. Evocativi di mille riferimenti all’eleganza newyorkese, magnifici.
Audio: L’Alcatraz di Milano dimostra di saperci fare, un locale così manca in molte parti d’Italia. L’acustica è godibile, ed essendo io qui a Roma abituato molto male, la trovo perfetta. La band svaria da momenti di intimità cantautorale a vere e proprie sfogate wave senza che si perda nemmeno una preziosa frequenza. La condizione necessaria per godersi davvero un bel concerto come questo.
Setlist: come ci si poteva facilmente aspettare lo show gravita principalmente intorno a Boxer e High Violet (da cui però, inaspettatamente verrà tenuta fuori “Brainy”), tuttavia c’è spazio in scaletta anche per brani tratti da Alligator (“Mr. November”) dal Cherry Tree Ep (“About Today”) e dai dischi precedenti, come“Cardinal Song” e “Lucky You”, che provengono dal secondo lavoro Sad Songs for Dirty Lovers.
Momento migliore: che ne dite di una sequenza come “Mistaken For Strangers” -> “Bloodbuzz Ohio” -> “Slow Show” ? Oppure preferite “Coversation 16” -> “Sorrow” -> “Apartment Story”? A voi la scelta. Ovviamente ce l’ho coi fan più sfegatati. Agli altri dico che il concerto è stato tutto bello e godibile.
Pubblico: tanto ed estremamente numeroso e partecipativo per un concerto di qualità e non troppo “facile” o modaiolo come questo. E’ una di quelle cose che ti fa sperare bene per il futuro vedere l’Alcatraz gremito mentre suonano i The National. Il pubblico, ovviamente più barba e occhi chiusi che eyeliner, partecipa, conosce i brani, si lascia trasportare e canta i pezzi più famosi. Il Fanclub italiano dei The National ha pure organizzato un piccolo benvenuto per la band e distribuisce cartoncini violetti, come High Violet, da sventolare quando la band sale sul palco insieme alla scritta “welcome back”. La cosa riesce a metà, ma la band risponde e ringrazia, dedicando “Slow Show” ai prodi fan italiani. Una netta impressione di affetto e di partecipazione per la band di Berninger e soci.
Locura: il concerto finisce in questo modo – “Terrible Love” in scaletta, il barbuto e filiforme frontman scende dal palco, cavalca il pubblico, si arrampica qua e là, raggiunge le ultime file e, sempre col microfono alla mano, stile Monotonix, scappa via dal locale salendo sul tourbus coi fan che gli corrono dietro. Epocale. Qualcuno mi dice che già lo hanno fatto gli Arctic Monkeys, ma io penso che vedere questo professore universitario di filologia comparata che lo fa, sia molto meglio. Impagabile.
Conclusione: la versione ridotta e dignitosa di un concerto degli U2, ovvero il concerto degli U2 per chi gli U2 non li sopporta. Magnifico. Voto complessivo, un bel 9 pieno.
Le foto sono di Rodolfo Sassano