24 Grana – La stessa barca

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18 gennaio 2011 lacanzonetta.it 24grana.it

Ombre

Chi più o meno ha la mia età, non potrà fare a meno di associare al nome dei 24 Grana quell’album dallo sfondo bianco, con una strana arancia in primo piano, che io stranamente ricordavo trafitta da aghi, e che invece trafitta non è. E’ solo mezza sbucciata, come un cervello scoperto. Il disco in questione era Loop. Erano i tempi in cui al nome 24 Grana si associava una parolina, Dub, e insieme a quella parolina veniva tutta un’altra serie di parole, di nomi, che conducevano in una Napoli che sembrava in gran fermento, vista da fuori: il centro sociale Officina 99, Bisca, 99 Posse, Almamegretta e così via.

A quell’epoca sembrava che i 24 Grana fossero destinati ad un enorme successo: la loro miscela di dialetto, reggae ed elettronica era davvero ben realizzata, al punto che se li facevi suonare in un ideale mix nella tua cameretta dopo i Portishead, per dire, non ti sentivi poi così sfigato.

Ora che l’epoca dei Centri Sociali degli anni 90 è finita e che ha lasciato spazio a dei luoghi che in molti casi assomigliano più a dei locali, ora che i 99 Posse si sono prima MEGghizzati e poi spenti per anni, ora che tutto quell’immaginario lì ha lasciato spazio ad un alto immaginario, i 24 Grana si fanno produrre il loro sesto album dal mago delle produzioni ruvide e controcorrente, dal deus ex machina del rock dal suono scabro e abrasivo Mr. Steve Albini, e lo dividono classicamente in un lato A più ruvido ed un lato B più riflessivo.

Piacerebbe credere che tutto questo possa bastare ad una band che ha sempre meritato di più di quello che ha raccolto, a finire il grande balzo che sembrava voler spiccare in quel lontano 1997. E invece ci troviamo sempre nei territori di mezzo di un rock dialettale che rifiuta per lo più le sue origini elettroniche e “dub”, e che semmai flirta ogni tanto coi Police e coi Clash, in una miscela di folk e punk a tratti vicina ai pisani Zen Circus, ma senza la loro vena dissacratoria. Il tutto non può che essere ben suonato, e ancor meglio prodotto, con un Albini che opta per la presa diretta, e che spinge il gruppo a uscire allo scoperto con una registrazione che puzza di live e di energia. E il disco è anche molto gradevole, specie nel lato B, con episodi riuscitissimi come “Stop!” o “Oggi rimani laggiù”. Tuttavia mi manca: l’oscurità di  Kanzone su Londra del K-album, la delicatezza ipnotica di Stai mai cca, l’urgenza e l’innovazione bruciante di un capolavoro come Loop. Se riuscite a fare a meno di queste cose, e vi accontentate di un rock molto classico, suonato con il piglio punk di una band da pub mancuniano, andate dritti e ascoltatelo. Io invece credo che, per restare in Inghilterra, questa non sia la mia pinta di birra preferita.