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4 aprile 2011 | Domino | thekills.tv |
Baby Says
The Kills, un nome sotto il quale si deve nascondere qualcosa di veramente selvaggio, se la signorina Alison Mosshart è tornata a cantare insieme al suo sodale Jamie Hince dopo la scappatella col progetto Dead Weather di Jack White dei White Stripes, che altro non è se non una versione deluxe di quello che fanno i Kills… O forse no? Dipende dal nostro concetto di lusso.
Il mio, e quello probabilmente della signorina, è quello di sentire qualcosa di realmente selvaggio, oltranzista, e corrotto in una musica come questa. E da questo punto di vista i Kills non la mandano certo a dire: testi diretti, un bel fuck you man stampato in faccia, chitarre che puzzano di eroina e di sfacelo, di stanze di alberghi e di sesso. Molto più di quelle di quel bel faccino di Dean Fertita, compagno del progettino del sig. White Stripes di cui sopra. Perché a fare i bimbi cattivi bisogna saperlo fare. E Jamie Hince lo sa, chiedetelo a Kate Moss, che di bonaccioni proprio non vuole sentirne parlare.
Si parlava di testi infuocati. Dentro alle parole dei Kills c’è nichilismo, il tono disperato e intenso dei veri maledetti, dei James Dean sbrindellati come “vele rotte” che se ne fregano della propria anima “gliela posso pure lasciare a dio, in fin dei conti” (che stile!), delle proprie ossa “se le può tenere l’inghilterra, (per quanto me ne frega)”, ma non di rinunciare alle proprie cattive abitudini:“spazza via quello che rimane della mia mente sana, come on baby!” e alle cattive compagn(i)e: Kate?
E dopo l’opener Future Starts Slow, da cui ho tratto le dolci parole d’amore di cui sopra, segue l’hyper-reggae di Satellite, rombante richiesta di aiuto: “ho perso la mia bella, l’ho persa dietro la luna, dietro alla stazione, sopra un cucchiaio di argento! Operatore, ti prego riportamela”, chi sia l’operatore non è difficile da intuire. Amore tossico.
E poi c’è il cuore selvaggio che brucia (in fretta) di Heart Is A Beating Drum, C’è Nail In My Coffin, che userete per scaricare senza rimorsi qualcuno che vi vorrebbe come non siete,
E poi c’è Wild Charms, una poesia in note che sembra venire dal John Lennon di Jealous Guy, una dedica, direttamente dalla voce del sig. guitar mr. Hince:
Per tutti i ragazzini rincoglioniti che ti trascini dietro
Che ti cavalchi brutalmente nelle tue notti senza stelle
Per quella che suonò concerti sporchi e neri con le corde del mio cuore
E non si girò mai indietro
Che cosa è rimasto del nostro incanto selvaggio?
Lo scarto del fritto delle maree
I rimorchiatori delle stelle
Come mi tormenta
Come!
Sapere che è il mio fuoco
Che ha bruciato tutto.
E insomma, potrei continuare con questo immaginario, ma non aggiungiamo altro, lascio al lettore il gusto di scoprire quanti altri consigli di vita sbrindellata si celino dietro alle tracce dell’album.
Musicalmente il disco non si discosta poi più di tanto dai precedenti lavori del duo Alison-Jamie, rinunciando però ovviamente all’attitudine lo-fi di No Wow e a quella paracula di Midnight Boom (e meno male!), richiamandosi invece con forza al territorio da cui l’ispirazione più genuina del duo deriva: il garage e quel vago sentore di punk che cominciava a comparire sugli ultimi scampoli degli anni ’60 tra New York, Detroit, e la scena londinese, ripreso dai vari epigoni White Stripes, Yeah Yeah Yeahs, Black Rebel Motorcycle Club. La seconda parte del disco inaugura con Baby Says una sezione più riflessiva, che sembra direttamente scritta per l’airplay, ma senza rinunciare alle sporcature delle chitarre, alla foga, al sangue, al rombare dell’elettricità e in definitiva alla propria personalità. D’altronde è già capitato che i Kills siano finiti su qualche colonna sonora di serie televisiva americana, per cui di che stupirsi? Si finisce poi in bellezza con la sporca You Don’t Own The Road, e l’oscuro blues dark di Pots And Pans.
Il problema è che avendo alle spalle un disco affascinante come No Wow è difficile non dovercisi confrontare. E questo Blood Pressures non riesce a bissarne il fascino, la freschezza o l’urgenza, ma si fa forza dei migliori mezzi a disposizione e dell’esperienza accumulata per rivelarsi un disco molto approcciabile e tuttavia sincero, derivativo ma non impersonale. E rispetto alla scena con cui si confrontano i The Kills, vince comunque a man bassa.
Un piccolo appunto di Locura: tempo fa in televisione, al Tg4, un diligentissimo giornalista di Fede cinguettava soddisfatto in una rubrica di gossip “il cantante dei Killers, nuovo compagno di Kate Moss” e giù di “Are we human/ or are we dancers” come sottofondo. Divertente pensare ad un bravo ragazzo sposatissimo, astemio e timorato di dio come Brandon alle prese con la viziosa Kate, niente di più lontano dal vero, niente di più lontano da Jamie. Ma siamo in Italia ragazzi, e la musica qui da noi è considerata poco più o poco meno che un gioco. Ma non dai Kills di Blood Pressures: provare per credere.