Rocklab: Provate a descrivere la vostra musica a qualcuno che non l’ha mai sentita.
Gentlemen’s Agreement: Un misto tra la musica del dopoguerra, manouche, swing, carosone, con un condimento di tropicalismo, un fenomeno culturale che è nato in concomitanza con una dittatura vissuta dai brasiliani, che ha avuto tra i suoi esponenti Gilberto Gil. Noi ci rifacciamo tantissimo a questo genere musicale.
R: Come vivete la napoletanità e quanta ne infilate nelle vostre composizioni.
G: In questo disco siamo riusciti ad infilarne poca, soprattutto nelle parti strumentali. Siamo molto orgogliosi di essere napoletani, perché questa città è sempre stata una matrice di buona musica.
R: Secondo voi c’è speranza nel futuro di questa città?
G: io lo vedo floridissimo. Io penso che risente dei limiti dell’Italia, però è una grande città. C’è una grandissima cultura musicale, anche jazz sperimentale. Nella negatività di questo paese, noi ci possiamo ritenere molto soddisfatti della realtà della nostra città. La nostra etichetta ci produce completamente, e ha debiti zero, ci sono buone prospettive.
R: Parlatemi di Carcarà e di come è nata l’idea del disco.
G: Dopo 160 concerti del disco vecchio e un cambio di formazione abbiamo fatto questo disco nuovo. Io quello che ascolto è quello che ascoltano i miei genitori. Per esempio Caetano Veloso. Questo artista è entrato a far parte della mia vita. E sua sorella negli anni 60 fece questo spettacolo che si chiamava Carcarà, che parlava di questo personaggio che soffriva di pene d’amore e su una spiaggia comincia a piangere e le sue lacrime si uniscono al mare. Quando paragoniamo le nostre sofferenze a qualcosa di più grande risultano ridicole. E’ una storia in cui si tocca il fondo ma poi si sopravvive.
R: Recensendo il vostro disco ho trovato un sacco di richiamo alla musica estera, non solo nel sound ma anche nel approccio alla strumentazione, ovvero questo trend analogico acustico che c’è negli ultimi tempi, a cominciare da Beirut per esempio. Tutto ciò è voluto? Avete dato un’occhiata a quello che c’era in giro oppure l’accezione bucolica della vostra materia musicale l’avete data assecondando il vostro estro?
G: E’ del tutto casuale. I Gentlemen’s esistono da un bel po’, il primo disco è stato frutto di uno sconvolgimento anche della mia vita intima. Ho venduto la chitarra elettrica e ne ho comprata una acustica, poi strumenti cubani, e così via. E poi contemporaneamente sono usciti i Fleet Foxes e Beirut. Poi andando avanti ci siamo più concentrati sulla musica brasiliana, quindi il lato bucolico forse è sbiadito.
R: Sapreste indicarmi qualche artista o band nostrana a cui vi sentite vicini nel sound. Io ho pensato gli Avion Travel, ma mi sembra un accostamento forzato per via dell’origine geografica.
G: Gli Avion Travel sono dei grandissimi. Ma anche Paolo Conte, adesso introdurremo un piano nel gruppo, e questo sarà più evidente. Poi Sergio Endrigo, nel prossimo disco anche Lucio Dalla. Vabé poi Zen Circus e Mariposa. Io pesco tantissimo da Devendra Banhart anche.
R: Qualcosa in cantiere per il futuro?
G: Un cambio di formazione. Il trombettista se ne va. Lo sappiamo da pochi giorni. Però i cambiamenti sono sempre positivi, quindi lo affrontiamo con il sorriso.
R: Avete mai pensato di lavorare per lo spettacolo? Per esempio musicare film, corti o spettacoli teatrali? La vostra musica si presta molto secondo me.
G: Avemmo la possibilità di partire con una compagnia circense, ma abbiamo rinunciato, sarebbe stato un suicidio sociale (ride)