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27 Settembre 2011 | Souterrain Transmissions | ZolaJesus.com |
Ixode
Ormai delle radici moan wave e dark che avevano influenzato i suoi primi lavori, per poi arrivare ad una svolta plastica e melodica nell’ultimo Stridulum II, si sono perse le tracce.
Era prevedibile e già nell’aria. Le sue ultime collaborazioni con i Former Ghosts e gli M83 vedevano Nika Roza Danilova in evoluzione verso una forma dalle tinte noir ed eteree.
Il nuovo “Conatus” conferma questo percorso sin dalla sua grafica apparenza. Una Zola Jesus non più cosparsa di bitume, distorta e orrorifica bensì pallido chiarore di un funerale tra terra e cielo. Sposa fantasma e soffocato manichino umano.
Lecito aspettarci a questo punto un cambiamento di produzione: ora pulita e raffinata, mostra un’attenzione mai prima concepita dall’artista nei confronti delle sue composizioni, prima “volutamente” lasciate a riverberi e difetti analogici lo-fi.
Parallelamente, l’attitudine di scrittura e composizione è mutata in un’estremizzazione di quanto fatto nell’ultimo capitolo. Se Stridulum II era un ibrido tra Siouxse, Depeche Mode, una liricità notturna al neon e un groove danzereccio molto ‘80s, il nuovo LP si può definire come un annichilamento, un appiattimento della sua personalità sulla totalità della sua voce.
Conatus è l’impulso a vivere & l’impulso a rigettare un qualcosa di dannosa dall’organismo per via orale. Conatus è l’opera in cui Nika porta la sua capacità vocale all’estremo rasentando la rarefazione. Non troviamo, infatti, particolari distinti tra una canzone e l’altra tanto da costruire un immaginifico percorso interno al disco. Possiamo solo seguire alcuni cardini principali quali:
Il singolo Vessel che ben riassume il mood del disco con i suoi passaggi pianistici ed elettronici minimali sui cui Zola Jesus cuce un canto senza parole, quasi un sintetico soul glaciale. Lick The Palm Of The Burning Handshake, pezzo intimista e accorato, in un lento volo melodrammatico verso una nostalgica pazzia.
E le conclusive e sacrali Skin e Collapse, unico percorso verso il silenzio e la rinuncia alla parola, incapace di esprimere, incapace di rappresentare più nulla.
In conclusione. Un disco monocorde e lento nel suo ascolto. Tendente ad un’approssimazione stilistica che non fa apprezzare i camaleontismi di un’artista che aveva dato prova di ben altra fattura. Sarà la vera pelle di Nika o ci aspettano altri cambiamenti?