Ciao Paolo e benvenuto su Rocklab! come stai?
In questo momento sono molto contento perché il mio progetto è in perenne evoluzione e si ridefinisce in continuazione. Quando tutto è in divenire mi piace, è un po’ come quando si surfa.
Partiamo da cose banali, che cosa ti ha portato dai Franklin Delano e i Blake/e/e/e a sviluppare\ideare questo progetto solista?
Ho cercato per la prima volta di non pormi limiti, né obbiettivi precisi, e per la prima volta ho sentito il desiderio di fare tutto da me per vedere dove potevo arrivare.
Quale è l’idea, l’obiettivo artistico dietro Boxeur The Coeur?
L’obiettivo artistico si ridefinisce continuamente, come dicevo prima. Ora come ora ho un po’ di idee: 1. ibridare i generi, 2. ibridare la musica con la performance art e altri tipi di arti, 3. ibridare la musica suonata e il dj set in un concetto più ampio che è quello di “produrre” musica.
Perché una one-man-band? Volevi un controllo totale dello stile o questo nasceva da un intimismo particolare?
In realtà io volevo fare un disco solista ma avrei voluto in partenza avere una band. La cosa però si è dimostrata impossibile se non sacrificando le mie esigenze a quelle di altri. Quindi ho pensato: se devo ridimensionare la band e utilizzare comunque dei loop e dei sample, perché non fare tutto da me? Questa decisione l’ho presa per gioco, ma poi, man mano che la portavo avanti, verificando che effettivamente la cosa era fattibile, è diventata non solo una sfida, ma una fonte di ulteriori idee. Infatti il mio live è parecchio diverso dal disco, nonostante io tutto sommato utilizzi gli stessi identici suoni, campionati! E quindi sì, riesco ad avere il controllo totale dello stile, nel bene e nel male.
La complessità del tuo disco. Anche al più superficiale degli ascoltatori è palese la tua capacità di cucire insieme diverse cifre stilistiche in una pelle unica… quanti gradi di evoluzione e di lavoro ha richiesto questa tua prima opera?
Ci sono state parecchie stesure per alcuni brani, altri sono rimasti simili alla bozza originale (ad esempio “Our Glowing Days” in cui sono intervenuto solo a cambiare i cantati, all’inizio troppo lirici e diretti, oppure “Low Tide Lost At Sea” che addirittura è rimasta nella versione iniziale, solo migliorata dagli inserti e dai treatments di Shannon Fields – pensa che l’ho registrata con una scheda audio con solo un ingresso minijack stereo). Man mano che andavo avanti, e le mie idee si muovevano, i brani cambiavano negli arrangiamenti. Essay On Holography era terzinata e molto Sixties. The Secret Abilities conserva tracce della prima stesura nei ritornelli terzinati: la versione iniziale era tutta così!
Come sono nati questi due pezzi, che credo i più simbolici del disco? “An Angel Was Seen On The Crime Scene” e “Our Glowing Days”?
Penso che “Our Glowing Days” sia stato il primo brano da me composto dopo due anni di blocco creativo. Da un lato sono contento che sia rimasto molto simile alla prima versione bozza. Dall’altro ora come ora suonerebbe molto diverso. Per “An Angel…” invece, ricordo di aver utilizzato campioni presi da un wikileaks molto cruento. Poi Shannon mi ha fatto notare che sarebbe risultato banale utilizzare i campioni facendone riconoscere la fonte di provenienza. Poco musicale/artistico, troppo “politico”. Ho riflettuto molto su questo punto di vista, e ho realizzato che aveva ragione. È davvero troppo facile utilizzare i campioni audio per quello che sono, devi farli tuoi.
La ricchezza stilistica della tua prima opera è riconducibile agli scenari e alle estetiche musicali che hanno caratterizzato questo primo scorcio di secolo… quale è il tuo giudizio personale sulla nostra epoca e sulla retromania che dilaga?
Guarda, l’ho già detto in altre interviste. La musica “pop” (pop in senso lato) ha ormai una storia considerevole alle proprie spalle. Sarebbe assurdo non tenerne conto. Tuttavia la “retromania”, se la intendiamo con Simon Reynolds, è un desiderio “reazionario” di barricarsi in uno stile che ha già avuto un luogo di origine, una sua energia dirompente, che è già andata esaurendosi – come se si fosse tornati indietro nel tempo, facendo finta che non sia successo nulla da allora. Penso al contrario che fare un passo indietro per (tentare di) farne poi due in avanti sia tutt’altro atteggiamento, di sicuro più salutare. Io tento di fare questo – di riprendere discorsi interrotti ma non esauriti e ricontestualizzarli per attualizzarli.
Hai mai pensato di progettare un concept album? credo che la complessità e la capacità cerebrale della tua musica sia perfetta per rappresentare opere letterarie o accompagnare storie teatrali…
Mi piacerebbe molto! Ma vorrei uscire dalla logica dell’album come prodotto discografico. È il live e la sua completa riuscita che mi interessa. Quindi sì, concept live.
Quali sono i tuoi prossimi passi? che cosa hai in mente?
Sono tutto concentrato sul liveset, che tento di migliorare di volta in volta, cercando di non lasciare nessun dettaglio al caso. Devo dire che sto avendo molte soddisfazioni proprio dai concerti. La gente va via felice, e questo mi appaga tanto. Poi sto lavorando a dei remix (sì, li sto facendo io, e devo dire che mi piace molto quest’attività). Sto cercando il modo di promuovere il mio progetto fuori dall’Italia – e spero che il Primavera Sound possa rappresentare una spinta in più per questo.