Offlaga Disco Pax – Gioco di Società

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Fedeli alla linea lo sono sempre stati gli Offlaga Disco Pax. Hanno impiegato ben quattro anni a stabilire le regole di questo nuovo Gioco di Società, fattore non indifferente in questi anni di iper-produzione. Nel frattempo hanno curato la colonna sonora dei film “I Mille” per il Museo del Cinema di Torino e pubblicato l’EP PrototipoCASIO.

Ed è proprio dalle tastiere Casio (rigorosamente vintage) che ripartono Fontanelli e Carretti (la metà musicale del gruppo reggiano) , lavorando di lima al fine di ottenere un suono più levigato rispetto al passato: i tappeti sonori si fanno più minimali, ritagli chirurgici quasi suggeriti. Una scrematura strumentale che lascia un po’ “in disparte” la chitarra per concentrarsi sui cupi ricami portati avanti con maniacale essenzialità da tastiere e basso. Operazione pienamente cercata e riuscita, che rischia però di risultare monocorde all’ascolto prolungato: ed ecco che entra in gioco Max Collini, pronto ad ipnotizzare l’ascoltatore con nuove piccole-grandi storie dei nostri tempi. La mestizia metropolitana di Parlo da solo rievoca l’epilogo surreale di DeFonseca, Piccola storia Ultras ci riporta allo stadio di Reggio Emilia di Robespierre,dove la curva invocava un goliardico intervento Reganiano nei confronti degli avversari (ed ora come allora, non tutti forse sapevano che l’inno della squadra era plasmato sulle note di un canto popolare in onore di caduti in guerra).

Surreali le peripezie del ciclista olandese Van der Velde in Tulipani, toccanti i ricordi autobiografici di Sequoia (storia di classe filtrata da un malinconico Verismo agreste) o Respinti all’uscio (piccoli drammi adolescenziali, a chi non è capitato di rimanere fuori al concerto della vita?). C’è tanta Reggio insomma in questo disco: Palazzo Masdoni (sede del Partito, praticamente una seconda casa per Collini), lo stadio Mirabello, la scuola elementare, le strade. Un accorato provincialismo mai banale: uno sguardo sul mondo dalla finestra di un cucinino abitabile sulle colline reggiane. Non v’è traccia di loop festaioli ridanciani, l’ironia si fa più amara, l’illusione sempre meno consolatoria, l’utopia sempre più lontana.

Un disco solo apparentemente “moderato”, semmai forzatamente trattenuto, che palesa piuttosto la scelta coraggiosa di andare controcorrente, non solo chiudendosi nella propria cifra stilistica (senza inseguire “mode elettroniche” quanto mai abusate negli ultimi tempi) ma asciugandola ulteriormente, rendendola ancor più rigorosa indi per cui ostica. Collini non ne vuol sapere di cantare in maniera ortodossa (è stonato, dice, chiudendosi in un asettico spoken-word), le basi si tengono alla larga da qualsivoglia faciloneria pop. L’immobilismo a volte spiazza (e paga) più del cambiamento: gli Offlaga non cambiano di una virgola e confezionano così l’album che non ci aspettavamo.

Fedeli alla linea dicevamo, per fortuna.
E se la questione vi sta particolarmente a cuore, non crogiolatevi solo nell’ascolto (sacrosanto) di Cani o Lo Stato Sociale, ma recuperato l’ep d’esordio dei Carver, degni epigoni della Reggio Emilia che passa da Offlaga.