Purity Ring – Shrines

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Il fatto che anche MTV (quella del Canada, la nazione di cui i Purity Ring  sono originari) si è accorta di loro vorrà dire che la musica di questo duo è davvero degna di nota? Oppure, a voler essere più maligni e talebani dell’indie (nell’accezione originaria del termine), che invece ora come ora sia qualcosa di potenzialmente commerciabile? Dato che la diatriba è di quelle annose  non ne saranno approfondite qui le argomentazioni; l’interessamento del mainstream per ora è semplicemente un dato oggettivo, a prescindere dal quale  i Purity Ring mostrano di avere le idee chiare, dato che a sentir loro mirano a restare sulle scene a  lungo. Corin Roddick, uno dei due componenti del gruppo (insieme a Megan James), in un’intervista dice di voler tentare di raggiungere il prossimo stadio di evoluzione della musica pop, e che cerca con le proprie composizioni di mantenere un approccio che abbia lo sguardo rivolto verso il futuro proprio per creare qualcosa di inedito, piuttosto che verso il passato tentando di riprodurre un sound già sentito rielaborato in chiave più o meno personale.

Per raggiungere lo scopo i due si servono di basi elettroniche create dal già citato Corin con il suo fido laptop, su cui confessa di trascorrere spesso intere nottate in preda a trance creative, e dall’angelica voce di Megan e le sue liriche che attingono spesso e volentieri dall’immaginario gotico di spettri, teschi, demoni  – e chi più ne ha, più ne metta – riversandoci anche una certa attitudine spirituale. La stessa Megan racconta di come queste siano prese dai suoi diari adolescenziali sui quali trascriveva le proprie esperienze, e le abbia adattate con un proprio personalissimo simbolismo per essere in qualche modo il meno possibile legate alla proprie vicende private; oltre a ciò ha sembra che abbia creato un proprio linguaggio  usando quell’attitudine teutonica di creare parole dall’unione di altre parole; leggete i titoli dei brani dell’album e capirete di cosa sto parlando. Nel suo caso però non sembra che il risultato sia sempre di senso compiuto, o almeno non per nessun altro all’infuori di lei.

Un preambolo così potrebbe indurre all’ascolto anche il lettore più refrattario alle novità;  perlomeno quello era l’effetto sperato. Il giudizio su Shrines invece non sarà compiacente. Passando brevemente in rassegna i brani che lo compongono, vi si possono trovare pezzi con una vocazione più solare e più poppeggiante come FineshrineUngirthed,  in cui però effetti elettronici più contemporanei (e fin troppo abusati) come l’oscillazione e l’uso ridotto della melodia nelle parti cantate ridefiniscono il concetto stesso di pop in chiave più attualizzata. Si spazia anche verso altri pezzi che strizzano l’occhio alla scena chillwave (Amenamy, Grandloves, Slatkin, Lofticries) o alla dubstep (Cartographist, Belispeak), stile decisamente più congeniale alle liriche tenebrose di Megan James.

La creatura dei due canadesi è sì polimorfica, ma manca loro la maturità necessaria a farla svettare dal sempre più animato sottobosco di duo (quando non one-man-band) elettronici.

Certamente si intuisce che i due ragazzi hanno messo molta dedizione nella realizzazione di questo album e hanno una discreta base di ascolti musicali alle spalle, soprattutto per quel che riguarda Corin Roddick, lo sfornatore di basi tra i due; tuttavia il risultato, per quanto possa essere piacevole, è un disco ancora acerbo. Sembra ancora un po’ forzato il connubio tra la voce e le liriche di Megan e le basi di Corin, soprattutto in quei brani probabilmente pensati per tentare di uscire dalla nicchia elettronica e abbordare un pubblico diverso.

Un altro caso in cui solo il tempo riuscirà a svelare il vero valore di questa band.