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07/05/2013 | 4AD | .deerhuntertheband |
Quando recensii su queste pagine il precedente lavoro dei Deerhunter, Halcyon Digest, parlai di “punto di arrivo” e mi dichiarai curioso di scoprire che direzione avrebbe preso la band di Atlanta nel capitolo successivo. Mi sembra il minimo ora, spiegare perchè, di fronte al pur buono Monomania, voglia parlare di passo indietro. Come sembra anticipare il titolo, appare subito chiara una certa rinuncia alla poliedricità a cui strizzava l’occhio l’ultimo lavoro, a favore di una direzione più convinta tra quelle che dagli inizi sembrano costituire le sue due anime: mettendo da parte le derive ambient-shoegaze, concentrandosi sulla dimensione più pop lo-fi. Se mi concedete un’immagine un po’ macabra, Brandon Cox, nella mia fantasia, ha messo i panni del becchino. Nel 2010 abbiamo salutato Mark Linkous degli Sparklehorse e io volli vederlo andare a concimare la terra feconda di Halcyon Digest. Ma ora bisognava seppellire anche Jay Retard, scomparso nello stesso anno.
Le canzoni di Monomania appartengono a quell’universo di inventiva sporca, immediata e debordante, apparentemente incontenibile, superficialmente grezza e spoglia. Una cronica, quanto perseguita scientemente, mancanza del brano memorabile in favore di una congestionata memorabilia al neon. Il filo conduttore del marchio Deerhunter rimane infatti un forte dialogo con gli eroi di fine 90ies. E va dato merito di riuscire spesso ad intercettare quella spiccata genialità, se canzoni come Leather Jacket II e Pensacola non avrebbero sfigurato in Wowee Zowee dei Pavement, o se Dream Captain e Blue Agent sembrano calzare alla recente evoluzione dell’universo Eels proponendo un Mr E. opportunamente de-bluesizzato.
A presidiare l’inclinazione più languida dei Deerhunter rimangono qualche soffio di T.H.M. E soprattutto la sognante Nitebike, che opportunamente NON chiude l’album per non lanciare promesse al recensore ottuso e famelico di presagi. Se si volesse far esercizio di malizia si potrebbe pensare che Brandon Cox avesse annusato con discutibile tempismo che il cosidetto glo-fi, così umidiccio e vaporoso, fosse definitivamente con le cartucce fradice. Peccato che nel frattempo, nel giardino del loser-pop siano sbocciati numerosi fiori: da Mac Demarco a Mikal Cronin fino all’ultimo Kurt Vile. Ed è questo il giardino in cui Brandon Cox sembra aver deciso di aggirarsi. Rimane da capire se cogliere quei fiori; reciderli e depositarli su qualche lapide in segno di rispetto e omaggio, agitando e strimpellando una vanga sporca di terra e sangue.
[schema type=”review” rev_name=”Deerhunter – Monomania” author=”Enrico Calligari” user_review=”3″ min_review=”1″ max_review=”5″ ]