Acquista: | Data di Uscita: | Etichetta: | Sito: | Voto: (da 1 a 5) |
11 novembre 2014 | MassiveArts | ![]() |
Lasciate ogni speranza di trovare istanze sperimentali appagate o chissà quali artifizi o ricercatezze di sorta in questo disco, voi che vi apprestate ad ascoltarlo o a scoprirlo attraverso questa recensione. I Nadàr Solo non sono tipi con troppi fronzoli o stranezze per la testa: la loro cifra stilistica da anni ormai è quella dell’immediatezza, e con questo nuovo disco “Fame” questa impronta sembra trovare il suo più conseguente compimento. Già fin dal titolo sembra indicarci la via con la quale approcciarvisi: “fame” è un concetto che di per sé suggerisce essenzialità, bisogni primitivi, urgenze: e in questo caso, l’urgenza espressiva dei Nadàr Solo prende davvero il sopravvento su tutto il resto.
Attenzione però: non si tratta di banalizzazione del discorso, né di semplificazione, chè quel fiume in piena di narrazione che è Matteo De Simone non è di certo qualcosa che si possa contenere o normalizzare. L’avevamo già capito dal precedente “Diversamente, come?” un disco che si lasciava apprezzare più sulla lunga distanza che nell’immediato. Perchè? Perchè in fondo questo è il paradosso che anima la produzione dei Nadàr Solo: ad un primo rapido ascolto risultano strasentiti e persino irritanti perchè sembrano un po’ prenderti in giro, come se ti stessero dicendo “sì eccoci, sappiamo fare canzoni pop-rock accattivanti, con qualche bel passaggio armonico, due riffettini, un refrain orecchiabile, potenza e melodia et voilà ti ritrovi in un secondo a canticchiare le nostre canzoni. Ti abbiamo fregato, visto?” (“Io Non Volevo” in questo senso è emblematica). È questa presunta faciloneria che porterebbe quasi a non approfondire i loro dischi, che non fatichiamo ad immaginare vengano bollati come delle copie benfatte ma senza personalità di gruppi simil-Ministri e via discorrendo. Ed è qui che ci si inganna: perchè di personalità i tre torinesi ne hanno da vendere. La penna del cantante e bassista Matteo De Simone è ricca di suggestioni e contenuti, talmente tanto densi che a tratti risulta persino difficile seguire i suoi racconti incastonati in canzoni dal tiro così perentorio. L’impressione è che i Nadàr Solo siano percorsi da due anime, una più strettamente cantautoriale, in cui è il racconto ad essere il vero protagonista (quante storie dietro le loro canzoni? Potrebbero essere ognuna dei piccoli cortometraggi), l’altra è quella più marcatamente rock, capace di costruire pezzi con un tiro potentissimo degne del miglior rock italiano – leggi Verdena – o di certo hardcore punk. Queste due anime a volte si trovano bene assieme, regalandoci pezzi fra i migliori – “Shhh” e “Piano Piano Piano”, o anche l’apertura “La Vita Funziona da sé”. Ma il più delle volte è la prima anima a pesare maggiormente, con costruzioni dettate più dalle parole che dal resto. Non che questo gli impedisca di partorire buoni episodi, come “Cara Madre” o “Ricca Provincia” – forse fra i più significativi di tutto il lavoro, almeno per ciò che attiene al concept del disco stesso, il suo tratto distintivo – ma ne penalizza un po’ la parte musicale, che finisce per fungere da semplice orpello su cui intessere le storie.
Inizialmente queste undici canzoni sarebbero dovute essere percorse tutte da un concept preciso, quello sulle malattie psicosomatiche, intento poi abbandonato perchè troppo restrittivo ma che ha lasciato traccia di sé in tre pezzi (“Ricca Provincia” sulla bulimia, “Jack Lo Stupratore” sull’impotenza, e “Cara Madre” sull’ipocondria): è rimasto però il significato ultimo che li spingeva ad affronare questi temi, la contrapposizione fra vita costretta e vita libera, fra chi sopravvive ai propri desideri e chi li asseconda senza curarsi troppo delle conseguenze (“e ti preoccupi del fatto che non ho paura/non ti capaciti del fatto che non ho paura”). “Fame” è un disco che parla a chi queste paure sta cercando di farle tacere, in cerca di un percorso attraverso cui riuscire ad essere qualcosa di altro, di diverso da un sé imprigionato in schemi e pressioni sociali. “Diversamente, come?” era la presa di coscienza di voler cercare altri percorsi rispetto a quelli tracciati, Fame è la rivendicazione della necessità consapevole di questa diversità, senza la quale si finisce per morire.
Questo quarto disco del trio torinese vive di luci ed ombre, di episodi più convincenti e di mezzi passi falsi, in cui però nulla è del tutto fuori fuoco, e tutto è funzionale al racconto. La forza di “Fame” sta nella sua semplicità ed immediatezza, nella sua tensione espressiva, nella sua voglia di parlare esplicitamente di tematiche tortuosamente umane, e di farlo in una maniera che non è né didascalica, né filosofica, ma umilmente matura, consapevole: i Nadàr Solo probabilmente non faranno la storia del rock nostrano, ma sanno scrivere canzoni, e per noi può bastare.
[schema type=”review” name=”Nadàr Solo – Fame” author=”Patrizia Cantelmo” user_review=”3″ min_review=”1″ max_review=”5″ ]