“Music doesn’t stop, maybe is the only thing we have now, the only thing we share”
Queste le parole di Jonathan Donahue nell’accoglierci dal palco del Bronson di Ravenna in un ipotetico abbraccio collettivo. All’indomani dell’attacco terroristico di Parigi che ha visto come triste protagonista il concerto degli Eagles of Death Metal, diventa inevitabile il riferimento a quelle ore di panico e terrore in cui siamo tutti finiti, ed in cui è finita in parte anche la musica; quel piccolo mondo in cui noi tutti siamo soliti rannicchiarci, quasi una bolla protetta nella quale difficilmente si poteva immaginare l’orrore. Invece è accaduto l’inimmaginabile, e la difficile decisione di continuare come sempre, come se quella del 14 novembre 2015 fosse una serata qualsiasi, sottende proprio questa logica. La musica non si ferma, la musica ci unisce, ed è questa la cosa più importante, ora: uniti la paura diventa meno scura.
L’importanza di ritrovarsi al Bronson in questa sinistra serata sta tutta qui. L’atmosfera è quella di chi non vuole arrendersi e anzi, vuole aggrapparsi alla bellezza “live” di una delle band americane più importanti degli anni 90. I Mercury Rev di Jonathan Donahue e Sean “Grassopher” Mackiowiack hanno fatto la storia, a partire da quei primi dischi in cui la psichedelia destrutturata aveva la meglio, per poi tornare su binari più ordinari, rinnovandoli e segnando così il punto definitivo con un classico di (dream)pop sublime come “Deserter’s Songs”. È proprio questo disco a occupare ancora adesso la parte centrale dello show, pareggiando i conti con l’ultimo “The Light in You” uscito da pochissimo – che non riesce però ad essere all’altezza di un passato importante. Non memorabili, infatti, le canzoni eseguite tratte da quest’ultimo, ad eccezione forse di “Are You Ready?” .
Poi Il Bronson ci mette del suo. Le luci fin dall’inizio sommergono i musicisti sul palco, letteralmente dissolti in un muro di colori sottolineato dal continuo ondeggiare delle mani di Donahue: performer natante – tra i suoni e le luci. Persino le bolle di sapone – comparse durante la fluttuante“Diamonds” – beneficiano dell’effetto caleidoscopico. In sostanza, non è possibile, riprodurre né raccontare fedelmente quello che si vive dentro a un concerto dei Mercury Rev: si rimane impressionati dalla grande padronanza tecnica, dai cambi di registro fulminei e convincenti, da un’esperienza che coinvolge tutti i sensi.
La sorpresa ci coglie quando la band esegue una cover di Neil Young “A Man Needs A Maid”, a ricordarci che sì, i Mercury Rev, sono quelli che tutti ricordano per il “pop” sognante, ma sono anche quelli che rileggono la radice folk “americana” in una chiave che la rende non più distingubile, ma che continua ad essere una componente fondamentale della loro musica. Il rock, le chitarre distorte, le dissonanze e la furia di Grassopher si fanno ben sentire in pezzi come “You’re My Queen” e “Tides of The Moon”. La chiusura, subito dopo una monumentale “Opus 40” è affidata a due cavalli di battaglia come “Goddess on a Hiway” e la strepitosa “The Dark Is Rising”. Quando le luci si spengono e l’oscurità ritorna, ci si rende definitivamente conto di quanto bisogno ci sia di concerti del genere in cui dissolversi.. Peccato per la mancanza di pezzi appartenenti ai primi dischi (ad eccezione della sorprendente “Frittering” dal primissimo Yerself Is A Steam) ma i Mercury Rev dal vivo si confermano essere davvero di un altro pianeta.
SCALETTA
The Queen of Swans
The Funny Bird
Autumn’s in The Rain
Endlessly
Frittering
A Man Needs a Maid (Neil Young cover)
Are You Ready?
You’re My Queen
Diamonds
Central Park East
Holes
Tides Of The Moon
Coming Up For Air
Opus 40
Goddess On A Hiway (bis)
The Dark Is Rising (bis)