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5/02/2016 | norma evangelium diaboli | aluktofolo |
Ultimamente pare che la vena 70s stia dilagando all’interno dei progetti musicali in campo estremo. Se negli ultimi dieci anni abbiamo assistito alla grandissima impennata del revival Stoner, assieme a tutto il suo corollario iconografico di cui avevamo già parlato qui, ora ci troviamo di fronte ad altrettante mutazioni sonore o, per meglio dire, ad un cambio di prospettiva. Una volta che i cambiamenti si manifestano, all’interno di un macro-genere, saranno inevitabili le conseguenze anche per i sottogeneri affini. Recentemente, più volte abbiamo accennato all’avvicinamento da parte di alcuni astri del Metal estremo verso nuovi generi musicali; spesso si è parlato dell’incrocio fra Post-Hardcore e Post-Rock, Black Metal e Ambient o addirittura Kosmischemusik.
Gli Aluk Todolo sono francesi e hanno sconvolto i canoni della label che li promuove (la Norma Evangelium Diaboli) perché non appartengono né al classico immaginario musicale dell’etichetta e neppure a nessuna delle altre band colleghe. Con il nuovo “Voix”, il nostro trio consolida nuovamente il messaggio lanciato col precedente “Occult Rock”, mediante una lunga suite strumentale divisa in sei capitoli, che abbraccia in maniera globale il concetto di jam-session.
Avendo da poco analizzato l’ultimo album degli Oranssi Pazuzu dobbiamo constatare, per quanto riguarda sia il tema dell’improvvisazione sia quello della vicinanza al mondo 70s, che bastano davvero pochissimi ascolti per capire che gli Aluk Todolo navigano in acque limitrofe ma distinte.
Se per il combo finlandese avevamo segnalato la parziale assenza di struttura compositiva – in favore di una maggiore improvvisazione –, ora con i francesi in oggetto ci troviamo di fronte ad una destrutturazione ben più invasiva.
Già con i primi “8:18” minuti ci troviamo al cospetto di una band che sembra suonare dal vivo, una band che si spoglia delle vesti del Metal estremo per indossare quelle del rock anni ’70: per poi effettuare il processo inverso. Immaginate le lunghe improvvisazioni sul palco dei Led Zeppelin, dei Grateful Dead, o dei Jefferson Airplane; immaginate i primissimi Pink Floyd, ma gonfiateli di overdrive e metteteli nella bocca dell’inferno.
È interessante notare come qualsiasi stilema appartenete al Metal estremo venga eliminato, e non esistano riff riconducibili a nessun genere madre. Niente riff in down-tune, niente palm-mute thrasheggianti, niente power-chord. Il massiccio uso del tremolo non viene usato per creare riff veri e propri ma solo delle slegate composizioni che mutano e si trasformano senza tornare o senza ripetersi. Il basso spesso incappa in derive Post-Punk, mentre il batterista sfoggia costantemente il suo bagaglio di influenze Classic Rock.
Nei terzi “5:01” minuti le graffianti chitarre si chetano, il paesaggio infernale si avvicina molto ai Killing Joke e la lunghissima jam-session arriva al nucleo centrale della sua espressione. I quarti “7:01” minuti sono indubbiamente i più psichedelici: una sorta di “Careful with that Axe, Eugene” saturatissima e torbida, una “A Saucerful of Secrets” che emerge dagli inferi. Mentre i conclusivi “9:29” sono i più drammatici, dove il basso schizofrenico lascia maggior libertà interpretativa alle chitarre che spesso sembrano delle rumorosissime tastiere e a volte perfino delle urla; il famoso verso del delfino gilmouriano è ormai diventato l’urlo del Leviatano.
Eppure, nonostante l’interessante pacchetto, io per primo continuo a domandarmi l’effettiva utilità del prodotto fisico (o digitale) di questa band. “Voix”, come i precedenti album, è il prodotto di diverse ore di prove, incanalate in modo che siano diventate definitive per essere incise; ma immagino che la dimensione degli Aluk Todolo sia quella live: perché la loro musica è perfettamente fruibile ad occhi chiusi, non si serve di un apparato visuale in grado di modificarne i contenuti ed è fatta per essere diversa durante ogni esibizione.