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7 Aprile 2017 | Bella Union | Father John Misty |
“So I never learned to play the lead guitar
I always more preferred the speaking parts”
Che la principale passione di Josh Tillman, aka Father John Misty, fosse la parola, più che il virtuosismo di un singolo strumento, lo si era intuito già dal precedente “I Love You Honeybear”, summa romantica e punto di svolta per il suo classic-songwriting in termini di riconoscimento mondiale di critica e pubblico. Ma se con quel disco, parte portante l’avevano le orchestrazioni sontuose e l’architettura compositiva dei pezzi in sé, al di là del concept pur sempre presente, qui la parte da leone la fa la concettualità, riassunta simbolicamente nel titolo, e sviluppata attraverso un lavoro mastodontico di significati esistenziali relativi alla condizione umana attuale. Una vera e propria “commedia” che viene raccontata attraverso i tredici pezzi e i 75 minuti di questo suo nuovo lavoro. Un disco sull’incertezza atavica e endemica dell’umanità, e sui modi attraverso i quali viene esorcizzata attualizzandoli nei nostro tempo.
Some 10-verse chorus-less diatribe
Plays as they all jump ship, “I used to like this guy
This new shit really kinda makes me wanna die”
Così, a mettere bene in chiaro la natura della materia contenuta in “Pure Comedy”, arrivano i ben tredici minuti della canzone che forse più di tutte riesce a dare il senso della splendida mancata misura di questo disco, “Leaving L.A.”: una sorta di stream of consciousness senza limite alcuno, un dialogo dell’autore con se stesso, con le sue paure e le sue incertezze, che sfocia in un pezzo infinito e ripetitivo ma al contempo estremamente intimo e sospeso in una dimensione indefinita – che ben esemplifica il contrasto interiore e i dubbi dell’autore, che si fanno universali. C’è, infatti in questo disco una continua tensione, che si rispecchia anche nella lotta fra l’immagine che Misty proietta sulla sua potenziale audience e la sua essenza, o meglio, ciò che lui stesso si sforza di essere. L’idea che il suo ascoltatore possa dire “Hey, mi piacevi ma questa roba mi fa venire voglia di ammazzarmi” racchiude bene il controverso personaggio Father John Misty, predicatore hippie/fighetto un po’ naif, rompiscatole moralizzatore dei suoi tempi, quelli in cui l’intrattenimento ha preso il posto della cultura e dell’arte, di cui egli stesso finisce boriosamente anche per esserne vittima.
Ed è probabilmente questo che rende il disco sincero, al di là degli inevitabili pregiudizi legati alla ormai fastidiosa immagine che il personaggio Father John Misty si è costruito attorno mediaticamente, e che per molti finisce per essere insostenibile. Si avverte questa continua lotta interiore, questa umanità che non ha grosse risposte ma che osserva alienata la sua stessa desolazione. Specularmente, qui abbiamo la dicotomia del Josh Tillman in bilico fra il provocatore irascibile armato di battute taglienti e frasi ad effetto, e il songwriter che ambisce ad essere preso davvero sul serio. Ed è tutto così drammaticamente sincero; ed in un certo senso, chi meglio di lui può accusare se stesso e l’umanità di non starci capendo nulla?
Oh comedy, their illusions they have no choice but to believe
Their horizons that just forever recede
And how’s this for irony, their idea of being free is a prison of beliefs
That they never ever have to leave
E’ questo l’assurdo paradosso che percorre tutto il disco, una riflessione amara sui nostri tempi fatti di un’illusoria libertà d’espressione, che nel momento stesso in cui viene esercitata si trasforma in una forma di controllo, diventando il suo esatto contrario: una prigionia. È il tema affrontato anche nel country languido di “The Memo” (“and as the world is getting smaller/small things take up all your time […] Are you feeling depressed?/ But your feedback’s important to us”) ed esplicitato nella fluttuante “Birdie” che tratteggia una vita fatta di narrazione narcisistica aggregata in metadati, che un giorno finalmente riusciranno a svelarci l’enigma della nostra esistenza.
Il sermone prosegue con quello che è il vero male dei nostri tempi, l’intrattenimento: è lui il protagonista della canzone più pop del disco, “Total Entertainment Forever”, aperta provocatoriamente da quel riferimento a Taylor Swift di cui le cronache da music-gossip hanno riempito pagine e pagine di nulla cosmico, e da cui lo stesso Tillman si è abbeverato. Si legge in una recente intervista “L’intrattenimento ha a che fare con il dimenticare, mettere da parte la tua vita. L’arte ha a che fare con il ricordare, con il ricordarti il miracolo che è l’esistenza umana, l’incertezza sul nostro essere al mondo”. E nella condanna del continuo bisogno di divertimento che rende ciechi, tratteggia un’umanità fragilissima, che si illude di essere forte (“You’re a star baby/so dry your tears”) ma di fatto si trascina nell’oblio di se stessa e della sua condizione d’ incertezza, alimentandola o affrontandola con mezzi effimeri e precari, quelli propri dei piccoli e inutili riscontri quotidiani da social network.
Tell me lies, tell me sweet little lies, canta la radio negli anni Ottanta: ed è allora che Misty per la prima volta comprende questa “Pure Comedy“: una commedia che inizia con la nascita dell’uomo, imperfetto, sempre alla ricerca di qualcosa che lo definisca e che lo completi, di una bugia che gli renda la vita più dolce. Le illusioni, in questo senso, come le religioni e la politica servono solo a spostare in là il problema, confondono ancora di più l’umanità, esattamente come l’illusione dopante da democrazia del web, che ci distrae persino dalla morte (Ballad of a Dying Man):
“Eventually the dying man takes his final breathe
But first checks his newsfeed
to see what is ’bout to miss
and it occurs to him a little late in the game
We leave as clueless as we came
from rented heavens to the shadows in the cave
we’ll all be wrong someday”
Dove voglia arrivare esattamente Father John Misty in queste sue prediche verbose non è dato sapere, l’unica certezza che ci rimane è il quadro generale potentissimo con cui il disco riesce a dipingere la follia dell’umanità targata 2017. E in tutto questo sermone, la musica che spazio ha? L’impressione è che l’equilibrio fra l’ego narrante dell’autore e il suo talento compositivo sembra totalmente pendere a favore del primo. Ma, intendiamoci, Pure Comedy è un lavoro di una raffinatezza musicale estrema, con alla produzione il fido ed esperto Jonathan Wilson e con arrangiamenti di altissimo livello firmati Gavin Bryars, ma qualcosa non funziona del tutto nell’economia del disco. Ha potenzialmente il sapore del grande classico, ma per tutta la sua durata finisce con il trascinarsi lungo una spirale pericolosamente monotona, inframezzate da punte di assoluto livello. Come la splendida “Two Wildly Different Perspectives” che sembra essere sospesa nel tempo e nello spazio, con le note del piano dilatate nel vuoto cosmico di suoni sintetici e dei piatti jazz: un piccolo capolavoro che ci ricorda le atmosfere decadenti e oniriche dei Wilco di Yankee Hotel Foxtrot, . Gli archi e i fiati prendono il sopravvento sulle chitarre, che però continuano ad essere in primo piano in alcuni episodi sublimi come “Smoochie” dove fa capolino il fantasma del Beck di Sea Changes (come anche in “So, I’m Growing Old on Magic Mountain”). E poi glam-pop di ascendenza lennoniana (“Things That Would Have Been Helpful To Know Before The Revolution”) e ovviamente quel sapore vintage alla Elton John che la voce di Misty inevitabilmente richiama. I pezzi più compiuti e rotondi, che ricordano più da vicino la struttura-canzone dei precedenti dischi, sono indubbiamente le già citate “Total Entairtnement Forever” e “Ballad of a Dying Man”.
Un disco decisamente ambizioso, questo terzo capitolo di Father John Misty, splendidamente suonato e arrangiato, dove la misura non è di casa e dove l’illimitatezza delle suggestioni e dei significati rappresenta al tempo stesso il suo pregio e il suo difetto. Con meno carne al fuoco, forse, sarebbe stato un vero gioiello. Ma se gli eccessi sono questi, vale la pena goderseli senza troppe domande, sprofondando in quella stessa ineludibile incertezza in cui affondano le note della Pure Comedy.