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7 Aprile 2017 | Capitol Records | coldwarkids.com |
A undici anni dall’esordio e a tre dall’ultimo “Hold My Home“, i Cold War Kids optano per l’ode alla città di Los Angeles. Del resto, Nathan Willett (cantante della band) intervistato da Louderthanwar, manifestò già in tempi non sospetti la volontà di raccontare i cambiamenti di L.A.: «For me, having grown up all around Southern California, and having always had an image and idea of LA, and seeing it changed over the years, I wanted to try to recontextualize, and reinvent some people’s impression of it».
Però, l’idea di raccontare la vita e le dinamiche di una città così ricca di spunti come Los Angeles, potrebbe rivelarsi complicata. Nell’America odierna, dove il presidente Trump sta completamente spaccando l’opinione pubblica, le manifestazioni e le proteste sono all’ordine del giorno, e anche il comparto musicale si è fatto sentire. Bruce Springsteen e Kanye West, tanto per citarne due, si sono schierati apertamente, mentre altri ci hanno fatto un disco sopra: come gli Austra con Future Politics. Anche i Cold War Kids si sono schierati contro Trump con il brano “Locker Room Talk”, non presente nell’album, ma uscita nel 2016 per 30days30songs.
LA Divine si manifesta dunque come un omaggio non privo di venature anti-trumpiste: “Wilshire Protest” narra la protesta di 200 studenti della UCLA contro la gestione economica delle Università e del rapporto con le banche – protesta che ha coinvolto circa 8,000 dimostranti tra Westwood and Wilshire Boulevards. Il testo recita: «I am marching with the protest. I got so much to say, but I’m only here to witness. There’s a war inside my head. And I’m surrendering to weakness. We’re separated by steel and glass. In traffic trapped on the freeway, every body is a DJ. Looking down at our phones for the fastest way to get home. Don’t text me there should be no king».
Un pezzo in cui sugli scudi ci vanno i Suicide – paragone consciamente azzardato, ma che rende l’idea. Bene, dopodiché non potremo far altro che parlavi della deriva Pop: roba fra Coldplay, Kings Of Leon, Imagine Dragons, The Lumineers.
Una band, i Cold War Kids, capace di passare dalla critica al populismo di Trump, all’adesione totale ai populismi del mercato discografico. È d’obbligo specificare che non esistono motivazioni plausibili per continuare ad accostare la band a derive “Indie” o “Alternative”, visto che d’indipendente è rimasto poco o nulla.
Se per la nicchia (ormai un calderone) che chiamiamo Indie s’intendono “canzoni orecchiabili che ancora non conoscono tutti” allora, sono quella cosa lì – ma dopo 5 LP, non ha più molto senso. E questo lo sanno anche loro: «Why would you idolize me? There’s nothing I got that you don’t. You keep on fantasizing. I’ll always be the underdog», da “Ordinary Idols”.
“Can We Hang On” è un incrocio senza mandolini e banjo fra “Ho Hey” dei The Lumineers e “We Are Young” dei Fun. “So Tied Up” sarebbe stata perfetta per Fifa 17, come lo era “First”, ma è uscito tardi l’album. Sarà per Fifa 18. “Open Up The Heavens” adotta il raddoppio della voce un’ottava sopra tipico degli Imagine Dragons, così come un po’ tutto l’andamento e la sonorità dell’album, anche se la band di “Radioactive” si dimostra decisamente più cool.
“Restless”, tuttavia, rimane una piacevole sorpresa: la base è leggermente indietro, idealmente in ritardo per conferirle quella dinamica in crescendo, con la voce sempre in attesa di esplodere, in una tensione da vuoto nello stomaco.
I Cold War Kids, sebbene coinvolti politicamente, con LA Divine finiscono invece per smorzare l’aria di tensione che si respira in America: con incursioni nei rapporti di coppia, nella ricerca di se stessi e sulla volontà di evadere – come accade in “No Reason To Run” o “Part of the Night”.
I risultato è piacevole e le canzoni non cadono mai preda del ricalco, a dimostrazione del fatto che la band è in forma e ha voglia di mettersi in discussione. A tratti, tuttavia, LA Divine manca di spina dorsale; alcuni brani non emergono, rimangono in sordina per poi cadere nel dimenticatoio, pronti per essere superati dal nuovo tormentone estivo o dall’aggiornamento delle playlist di Spotify: anch’esse piene di nuovi pseudo artisti indie-alternative.