Kendrick Lamar – Damn

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La Statunitense Aftermath Entertainment di Dr.Dre, ha appena licenziato “Damn”: il responsabile erede di “To Pimp a Butterfly” firmato Kendrick Lamar.

Questo quarto album, era sotto i riflettori ancor prima di avere i natali. Kendrick Lamar si è APPARENTEMENTE concesso al regno del Pop, a dire il vero, questo passaggio (seppur non obbligato) era nell’aria da tempo. Ciononostante diciamo le cose come stanno: il Pop è il mondo più difficile da gestire, è ricco, irriverente, ambizioso e al servizio di un popolo variegato quanto esigente.

Damn” si districa su un pentagramma in parte orfano del Jazz-funk con cui Kendrick aveva conquistato il suo trono. Ma che la stesura di “To Pimp a Butterfly” fosse irripetibile, era un’altra pagina scritta, e non dovrebbe allarmare alcun ascoltatore.

Un disco Rap dalle trame Pop, non solo un beat conciato di rime. Il Rap ha uno schema complicato: una punteggiatura lirica incessante, un turbine di riferimenti socio-culturali e uno slang di difficile codifica. Questo schema vive da sempre nell’animo di Lamar, che ancora una volta si conferma sovrano paroliere e compositore.

Quattordici titoli brevi ed incisivi, sui quali l’autore fa un’accurata autoanalisi, una corsa contro il tempo, un’urgenza che si traduce in opere d’arte brucianti con un reale scopo. Forti le tematiche Bibliche e Politiche, le citazioni del Vecchio Testamento quanto la lotta contro il nuovo potere Americano. Kendrick ha messo a nudo la fede e l’aggressività nei propri brani, lo ha fatto in maniera esplicita aggiungendo – come suo solito – alcuni spigolosi messaggi subliminali. Un esempio lampante? La disposizione dei titoli in copertina: le ultime lettere in evidenza nero su bianco, compongono l’anagramma “death 2 the leader”. Lo stesso artista alla vigilia della pubblicazione dell’album twittò : “But what if I told you… that’s not the official version..”

Vero o falso che sia, Kendrick va abbondantemente a segno. Lo fa in solitudine con i tagli west-coast del primo singolo “Humble” e il mantra elettrico di “D.N.A.”. Si avvale di collaborazioni e pure di qualche perplessità: dalla suadente Rihanna di “Loyalty” in duetto con una caricatura di Drake, agli eccessivi falsetti in salsa pitch di “Pride”. Di nuovo testi Biblici e poetici interrotti dal disagiato reticolo di bass-line, sulle note di “Yah”. Poi ci sono perle ad alto rischio, come l’esilarante e inaspettato featuring degli U2. “XXX” vede “lo straniero” Bono Vox cullare di armonie il sogno Americano allo specchio, con un Lamar che narra la violenza contraddittoria della sua patria per mezzo del più epico time-shifting del disco. “Lust” è un lieto ritorno al jazzy-style di “To Pimp a Butterfly” grazie ai colori del pregiato quartetto canadese BadBadNotGood. Ma il vero Lamar prende vita sull’epilogo “Duckworth” (Reale cognome di Kendrick) una confessione personale e velenosa, tra pressioni sociali e fughe dalla ricchezza.

Damn” appare come un lavoro snello e minimalista, ma in grado di celare profondità nascoste. Parole e musica operano in sincronia verso l’indagine e la rivelazione di un mondo su declino politico e dalla religiosità irrisolta. Un album dal volto Pop ma pronto a segnare il ritorno di Kendrick Lamar al vero intento analitico e comunicativo del Rap.

Data:
Album:
Kendrick Lamar - Damn
Voto:
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