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“…Why can’t you see that I’m drowning in a pool of misery?…”: questo è il grido d’aiuto lanciato da un rabbioso Wes Scantlin nei primi 50 secondi di Away From Me (singolo di lancio che apre il disco intero).
Dopo il successo tutto americano del precedente Come Clean l’ex lavapiatti-con-figlio-a-carico, salvato dall’intervento provvidenziale di Fred Durst e della sua Flawless, è pronto a raccontarci le sue fobie da riflettori, i lati più amari della sua “vita su display”. Pertanto, dopo le prime tracce dal piglio decisamente chitarristico, si scivola ben presto su dimensioni più intimiste e riflessive che non disdegnano l’apporto di un arpeggio acustico (basti pensare a pezzi quali Think o la conclusiva Time Flies.).
Non arriveremo a definire questo Life On Display come il disco dark dei Puddle Of Mudd o chissà cos’altro, poiché sempre di nu-rock si tratta: ma rispetto al suo noto predecessore questo lavoro è meno incisivo, meno d’impatto, meno facile da carpire al primo ascolto. La malinconia stessa non è percepibile già dall’inizio, ma si insinua sotto la pelle dell’ascoltatore più attento per riaffiorare solo dopo il secondo o il terzo ascolto.
Forse Life On Display non sarà all’altezza del lavoro precedente e forse non raggiungerà nemmeno i suoi alti livelli di vendita: ma è apprezzabile l’intento del quartetto di rinnovare le sonorità grunge del primo album allontanando da sé il modello Nirvana (che comunque rimane il riferimento principe, come dimostra la presenza di Andy Wallace dietro al mixer) e
tentando di abbracciare anche realtà meno conosciute del rock di Seattle.
Quindi non stupitevi se sorprenderete Wesley a scartabellare nel registro stilistico del compianto Layney Stayley (Alice In Chains) o a ripassare scrupolosamente dai primi lavori degli Stone Temple Pilots: sta studiando per voi.